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La nostra niente affatto fotogenica felicità

Mi ritrovo qui, a ormai 4 giorni di distanza dalla data del concerto, perché da allora la musica dei Cani non mi è ancora uscita dalla testa. Non passa giorno senza che mi ritrovi a canticchiare “Non avrò bisogno delle medicine, degli psicofarmaci, del Lexotan”, al punto che la cosa inizierebbe a preoccuparmi, non fosse che mi succede con pressoché qualsiasi pezzo di mio gradimento. Come sempre prima di una serata del genere avevo cercato di prepararmi al meglio su un gruppo che conoscevo si, ma che non avevo mai approfondito fino in fondo. Per la cronaca segnalo anche il gruppo che ha aperto la serata, i Testaintasca, una band romana, sicuramente lontana dai cani nelle sonorità e fatta di chitarre ruggenti e riff aggressivi che intrigano in un primo momento, ma che onestamente dopo qualche pezzo rischiano di diventare ripetitivi, soprattutto se il pubblico non è li per sentire ciò. Ritornando a noi devo ammettere che le parole cadenzate di Nicolo Contessa mi avevano colpito fin dal primo ascolto, ma l’ esperienza dei Magazzini Generali ha, come spesso succede, dato una svolta al mio modo di ascoltarle. Si, perché I cani non sono l’ ennesimo gruppo pop romano, dietro a delle basi synthpop, accompagnate da una formazione che offre in ogni caso spunti interessanti, si celano testi che colpiscono. Dal vivo questa impressione è ancora più forte, il pogo che si sollevava ad ogni canzone non era violento, ma trasudava trasporto e passione per le storie che ci venivano raccontate con lo stesso pathos con il quale ci muovevamo confusamente. E’ stata questa la vera magia della serata, “vivere in un film di Wes Anderson”, senza chiedersi come abbia fatto un gruppo indie a radunare li tutta quelle persone in un freddo giovedi di Dicembre. Nicolo da questo punto di vista si è mostrato come la manifestazione poetica della vita di ciascuno di noi, sappiamo tutti che “le velleità ci aiutano a dormire”, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di pensarlo davvero, e cosi di seguito, al di la della bella esecuzione di ciascun pezzo, il messaggio che passava era “Su questo palco ci sei un po’ anche tu”, davvero emozionante. Il suo atteggiamento in particolare, mi ha poi colpito. Ho assistito a numerosi concerti “indie” in questo ultimo periodo e tutti i frontman delle rispettive band si sono mostrati molto interessanti e originali, ma anche con grande voglia di apparire. Non mi sembra sia stato cosi in questo caso, in Contessa ho colto un “ragazzo” salito sul palco per puro amore, che cercava di lasciare il minor spazio possibile alle parole per dare a noi ciò che davvero volevamo, la musica.

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