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Any Other - Two, Geography

  • Roberto Checchi
  • Oct 1, 2018
  • 2 min read

Il secondo disco di Adele Nigro a nome Any Other può, per la sua stessa autrice, essere definito un breakup album, ovvero un lavoro nato dalla fine di una relazione amorosa, e basato quindi su elementi autobiografici quali la mancanza e la difficoltà di fare i conti con gli aftermaths di quella che nel disco viene chiamata una abusive relationship.

Non stupisce dunque che le dieci canzoni dell'album abbiamo un tono diverso rispetto al predecessore: in Two, Geography sono molto rari i rimandi all'estetica indie-math rock statunitense degli anni '90 (Pavement su tutti) predominanti nel disco precedente: protagonista qui è la chitarra acustica, e le canzoni fanno piuttosto riferimento a una tradizione di alt-folk confessionale ad alto tasso di internazionalismo (i riferimenti qui potrebbero essere Waxahatchee, P.S. Eliot, ma anche Mark Kozelek o certo Sufjan Stevens), con interessanti aperture verso territori free-jazz (su tutte, la spettrale Geography).

Le dieci canzoni di Two, Geography si basano, come detto, sulla fine di una relazione: nel loro susseguirsi viene raccontato il faticoso e doloroso processo di accettazione della solitudine, e di ricostruzione dell'identità dopo una perdita importante. Ad esempio, nell'iniziale A Grade troviamo il ritratto di una quotidianità distratta e apatica dove si alternano ricordi e autoanalisi, sopra uno strumming feroce di chitarra acustica. L'apatia e l'impossibilità del sentire tornano in Walkthrough, dove il cantato da sussurrato diventa progressivamente rauco e doloroso mentre Adele intona il leitmotiv della canzone, “I wouldn't feel anything”. Nelle parti strumentali troviamo qui la ricchezza che ha caratterizzato l'esordio di Halfalib, a cui Adele stessa ha collaborato. Breastbone ritrae la protagonista in una scena di malessere quotidiano: internet come narcotico, dolori al petto e commiserazione per il proprio stato. Nella successiva Traveling Hard troviamo gli stessi elementi ma, per la prima volta, fa capolino un proposito di cambiamento ("No need to be fixed, I just need to love myself"): anche il tono della canzone è più rilassato rispetto alle precedenti, con un cantato non più dolente ma sornione, squillante. Il processo di accettazione e il desiderio di guardare avanti continuano nella più classica Perkins, che strizza particolarmente l'occhio agli anni '90, e in Mother Goose, malinconica filastrocca a metà tra struggente mancanza ("I miss your mellow morning warmth") consapevolezza ("I guess I have to learn to be alone") e determinazione ("I gotta love myself regardless of anybody else"). A chiusura del disco, in pezzi quali Geography e la finale A place troviamo una difficile, parziale accettazione dell'accaduto, condita certo di rimpianti e di ricordi dolorosi, ma comunque consapevole e ricca di speranza per il futuro.

Two, Geography è dunque un racconto del riposizionamento della propria geografia emotiva e corporea dopo un doloroso breakup. E' il racconto di una crisi intesa come messa in discussione, come smarrimento: condizione piena di domande anche difficili, necessarie per risollevarsi da uno stato di intorpidimento e insensibilità. Si tratta di un disco non accomodante per la sua disarmante sincerità, con cui esorta l'ascoltatore a porsi domande dalla risposta di certo non facile, o univoca. Fernando Giacinti

 
 
 

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