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Wildbirds & Peacedrums – Rhythm

  • Roberto Checchi
  • Dec 10, 2014
  • 2 min read

Il duo svedese di gospel percussivo arriva al quarto disco senza rivoluzionare la ricetta ma portando nuove scoperte e nuovi esperimenti ad intessersi nelle trame semplici eppure così ipnoticamente spiraleggianti delle nove tracce del nuovo “Rhythm”, un titolo lapalissiano ma in qualche modo inevitabile.

Il ritmo gioca infatti una parte fondamentale nella musica sciamanica e suadente dei “Wildbirds & Peacedrums”, che con voci e percussioni sovrapposte in strati rarefatti e rotanti riescono a non farci mancare sonorità più piene: anzi, in qualche modo i brani si avviluppano intorno alle nostre sinapsi senza lasciare altri spazi, come piante rampicanti, in un gioco di chiaroscuri dominato dalla voce trasformista di Mariam Wallentin, che gioca con sé stessa e con l'ascoltatore, vibra, sale, si fa rituale, quasi spiritual (“Ghosts & pains”) e poi carnale, di un soul animale (“The offbeat”); si sposta sul tempo ripetendosi, si ferma in attesa, scende onirica e scompare, lasciandoci in balia delle ritmiche incessanti di Andreas Werliin, che suonano sporche e rock (“Gold digger”) per poi partire per perdersi in giungle di acciai e plastiche (“Soft wind, soft death”) o in saliscendi frattalici dagli scarti scaleni (“Keep some hope”), fino a rotazioni da derviscio, immerse in un lampeggiare ancestrale di fiammelle (“Everything all the time”).

Pochi altri ingredienti (qualche frequenza bassa, synth sperduti, echi distanti, come erba tra le macerie) punteggiano il panorama, che fa dei suoi vuoti e dei suoi spazi aperti il centro focale. “Rhythm” è un disco di movimento spontaneo, di sintesi estrema, esempio finale di sottrazione densificata, quella magia dei suoni che a volte togliendosi esplodono, andando ad accarezzare il nostro inconscio dormiente che subito tenta di riempire il buio con fosfeni meravigliosi. I “Wildbirds & Peacedrums” riescono a lavorare sul dettaglio, sulle piccole cose, andando a costruire un microcosmo di musica che sa intrappolare e stupire. Un disco da subire, lasciandolo libero di agire dentro di noi come uno spirito o una droga, senza tentare di guidarne la discesa.

 
 
 

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