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"Un po' esageri": vi raccontiamo il nuovo singolo dei Verdena

  • Roberto Checchi
  • Jan 10, 2015
  • 2 min read

I Verdena non hanno mai parlato, non hanno mai espresso significati, non hanno mai creato sequenze logiche d’immagini, mai un filo, una traccia di logicità: questo primo singolo estratto da "Endkadenz vol.1" ne è la matura conferma.

Parlare senza esprimere, utilizzare la voce come strumento dell’anima priva di protesi meccaniche, svincolarsi dai rapporti tra fonema e significato: scommessa affascinante. Sarebbe facile, troppo facile, risolvere il problema esibendosi in barocchi gorgheggi, in suoni privi di forma, trasformare la voce in uno strumento al servizio del formalismo più che dell’emozione. La scommessa, la scommessa è proprio qui : cantare parole prevaricandone il significato, mettere l’ascoltatore nelle condizioni di saltare lo steccato del senso, di perdersi in valli di suono puro. I Verdena ce la fecero, e continuano a farcela.

Conobbi i Verdena da piccolo, li chiamavo “i Nirvana dell’Italia”, ascoltavo e riascoltavo i lor brani e sin da subito mi resi conto che, su di loro, si scriveva troppo, e si scrivevano sempre le stesse trite parole. Analisi musicali, recensioni ricercate e descrizioni accurate, gente che si chiedeva il perché del loro successo, ragazze neonate critiche musicali che volevansi far galline nel pollaio d’Alberto, giovani piccoli adulatori innamorati più di Roberta che dei suoi giri di basso (ero tra questi).

E i testi? I testi eran trascurati, erano Bibbie d’adolescenti da cui tirar fuori qualche slogan che tutt’ora gira sulle bacheche facebook non appena è Settembre. I testi erano parole da cantar ai concerti, urla libere, versi a cui ognuno nel profondo dava un significato particolare: succedeva cosi’ con i Verdena.

Spaceman era per me Armstrong, un Neil Armstrong ormai battuto, vecchio e abbruttito, vinto da un nuovo superuomo, quello che verrà poi. Trovami un modo semplice per uscirne lo associavo ad un film, a Requiem for a Dream, ed Angie non me lo ricordo più chi era, nella mia mente d’adolescente. Ma non importa.

Non importa. Quello che importa, è che i Verdena m’impartirono due lezioni, due lezioni mature che mi resero più consapevole e maturo. La prima: quando mi piace qualcosa, non importa cosa, sono in grado di imparar a memoria frasi e frasi senza significato apparente, senza accorgermene. La voce d’Alberto, non importa quanto coperta, quanto affondata nella traccia, mi rimaneva impressa, sempre.

La seconda: la bellezza non ha senso, l’arte non “deve” aver uno scopo, un significato, il simbolo non deve essere tradotto, la verità non trascritta, il mistero può rimanere soggettivo, implicito il messaggio, il fraintendimento è un rischio che l’artista non corre. Le parole possono diventare puro suono, schizzi astratti su tele timpaniche, confondersi e fondersi con la traccia strumentale. Questa seconda lezione mi fu poi ribadita dai Sigur ros.

Oggi, a distanza d’anni, i Verdena tornano dopo il successo di WOW, con un progetto in due volumi, dal primo dei quali è stato estratto “Un po’ esageri”. Tutto confermato, non manca niente, nemmeno lo slogan adolescentemente romantico. “Se ti manchero’ prova a fuggire in noi”.

 
 
 

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