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Umberto Maria Giardini - Protestantesima

  • Roberto Checchi
  • Mar 26, 2015
  • 2 min read

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Ci sono dischi che, più di altri, fanno riflettere su quanto sia inutile parlare di musica, scrivere di musica. Che scrivere/parlare di musica sia in qualche parte inutile credo sia pacifico. Di solito cambia la quantità di inutilità, e quello che rimane si metamorfosa di volta in volta a seconda del tipo di recensione/recensore. Ma sto divagando.

Perché questo disco mi fa sentire inutile il parlarne? Perché è magmatico, caleidoscopico. Nove brani indescrivibili di cui posso, al limite, tentare un'approssimazione: cantautorato dalla voce e dallo sguardo personalissimi, rock vellutato e comunque affilato, preciso e avvolgente. Ci si allarga negli spazi celesti e ci si rincorre su prati fangosi in questo Protestantesima, terza opera dell'ex-Moltheni, la cui cifra peculiare sembra essere la totale libertà, la poca voglia di accontentarsi dell'ovvio per mondi diversi, anche nuovi, anche difficili in qualche misura, ma che allo stesso tempo sono lì, a portata di mano (“C'è chi ottiene e chi pretende”, quasi otto minuti di capolavoro).

Umberto Maria Giardini ha partorito un disco che è tante cose: è soprattutto, appunto, libero, e in questa libertà c'è, per forza di cose, del nuovo, del sorprendente. E comunque rimane un disco fruibile con semplicità, dai suoni limpidi, dalle melodie incantevoli. Enigmatico nei testi ma pungente (“E se è vero che tutto si compra / e il denaro rincuora / resto pulito e raro / chi se ne frega”, da “Il vaso di Pandora”). Dilatato e pronto ad ignorare la brevità (“Pregando gli alberi in un ottobre da non dimenticare”, otto minuti più pausa e finale che chiude dopo il traguardo dei dodici minuti) senza per questo fartelo pesare, anzi. Arrogante ma delicato, egocentrico ma con stile, ambizioso ma paziente.

Ho detto tanto per non dire nulla, lo so. Quello che volevo dire era: ascoltatelo.

 
 
 

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