Iosonouncane - DIE
- Roberto Checchi
- Apr 15, 2015
- 3 min read

C'è poco da fare: IOSONOUNCANE si conferma una delle personalità più forti e originali della musica italiana. Ci sono diverse ragioni per cui “DIE” mi fa pensare questo. Innanzitutto dimostra quanto sia completo come artista Jacopo Incani. Se accostiamo il suo primo disco, “La macarena su Roma”, a questa sua ultima opera, si nota subito come IOSONOUNCANE possa fare tutto, dall'elettronica al cantautorato alla world music al noise, con lo stesso sguardo, con la stessa naturalezza, con la stessa precisione. E lo può fare senza perdersi nello sperimentalismo fine a sé stesso, che pure può essere interessante, ma non altrettanto piacevole: “Tanca”, che apre il disco, è una canzone che riesce ad essere in qualche modo orecchiabile senza essere certo un pezzo pop standard: otto minuti di bassi gonfi, ritmiche ossessive, rumori e distorsioni. Possiede però una direzione, uno scheletro inossidabile, che non ci fa perdere nel delirio neanche per un attimo. Ci avvolge e ci fa espandere in un mondo nuovo (ascoltatela con delle buone cuffie, ve ne prego).
E c'è veramente del “nuovo” qui dentro: c'è una nuova canzone d'autore, che usa la chitarra ma anche no, che è pop – è davvero pop – ma è complessa, sorprendente, coraggiosa, e non ha paura di prendere una strada tutta sua, anzi, la costruisce passo dopo passo, la stende davanti a sé e la percorre, sicura e decisa, senza dubbi, e funziona così, senza appoggiarsi a nulla, o a molto poco. “Stormi” è un capolavoro in questo senso: accessibile ma in qualche modo “diversa”. O la parte finale di “Carne”, di “Mandria”. Canzoni che lasciano il segno e che non mollano mai il colpo.
Se tutto questo già non bastasse, bisogna anche notare che Jacopo Incani è bravo, soprattutto per quanto riguarda la voce. Ha una bellissima voce. La usa benissimo. Questo spesso è un punto dolente: ci si aspetta sempre una sorta di dicotomia tra chi scrive bene e chi canta bene. IOSONOUNCANE scrive magnificamente e canta con una voce perfetta: mai sbavata, forte, alta, e con una personalità intensissima, che lo etichetta subito, che è inconfondibile. E il racconto che fa, questa descrizione di una scena così particolare, ristretta nel tempo e nello spazio (pochi secondi di una donna sulla spiaggia che vede un uomo affogare in mare), è totalizzante, universale. È davvero d'autore: è una lente d'ingrandimento che è anche radar e sonda spaziale. Parla di tutto non parlando di niente, e per questo le sue canzoni sono a-temporali, a-spaziali, e quindi eterne, infinite: e però parlano di terra, di uomini, di vita, di morte, sono incastonate in un Sardegna quasi mitologica, che ci lascia spazio, che si fa ubiqua. “DIE” è magmatico e allo stesso tempo tagliente. Le sue canzoni sono forme audaci nascoste nel buio: si fanno definire dai nostri ascolti, e se questo non è segno di bellezza, non so cosa possa esserlo.
Raccontano che Vecchioni, quando si è trovato ad ascoltare per la prima volta “Rimmel” di De Gregori, abbia lanciato il disco dalla finestra. C'era una punta di gelosia, forse, per un artista così giovane e così di successo. Ma scommetto che la ragione di quel gesto fu soprattutto la frustrazione del sentire quella cosa diversa nascere, così compiutamente, così naturalmente. Una frustrazione umanissima, quella che si prova davanti alla bellezza quando ci meraviglia e ci spiazza, quando sposta l'asticella in una direzione nuova e inaspettata, e ci sentiamo impreparati, ci sentiamo piccoli come davanti al deserto, al cielo stellato, all'oceano. Questo è quello che provo davanti a “DIE” di IOSONOUNCANE. Forse il paragone è esagerato, forse domani l'entusiasmo si smorzerà, ma questa è la sensazione a fine ascolto e mentirei se dicessi altrimenti. “DIE” mi sembra la canzone d'autore che verrà, o che vorrei arrivasse – e mi spiace per altri autori che apparentemente sembrano incarnare meglio lo spirito del tempo: questi anni moriranno e le vostre canzoni con loro. “DIE”, forse, no.
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