Intervista a Iosonouncane
- Roberto Checchi
- Apr 27, 2015
- 5 min read

IOSONOUNCANE è Jacopo Incani, classe 1983, ed è fuori con il secondo disco, DIE. In questa breve intervista conferma l'impressione che di lui ci si può fare ascoltando le sue canzoni: un artista complesso, preparato, dalle idee molto chiare (leggi qui la nostra recensione). Onesto e spigoloso, poco incline al chiacchiericcio futile che spesso circonda la musica e chi la fa. Un artista come ce ne sono (ormai, e purtroppo) pochi.
DIE è il tuo ultimo disco. Sei brani di un cantautorato elettronico molto personale che formano un concept su un naufragio (detta molto semplicisticamente). Ti va di presentarci disco e concept?
In realtà non c'è alcuna ragione per credere si tratti di un naufragio. Non c'è menzione a riguardo nei testi. C'è un uomo in mezzo al mare che teme di morire, e c'è una donna sulla terra ferma che teme di non rivederlo mai più. DIE racconta la storia dei loro pensieri in una manciata di secondi, e lo fa attraverso una suite di 38 minuti circa divisa in sei parti o brani, due corali ad aprire e chiudere il disco, e quattro centrali scritti in prima persona, due per ogni protagonista.
DIE è un disco affascinante. Personalmente penso sia un disco molto importante, soprattutto nella misura in cui riesce a rimanere canzone d'autore vivendo di singulti elettronici, di spazi che fondono psichedelia e ritmi, in brani che sono complessi ma che hanno tuttavia un'accessibilità di fondo: ti accolgono ospitali nell'apparente caos di cui sono composti. Quanto tempo hai impiegato a "liberarti" dalla chitarra? Credi sia un aspetto fondamentale del disco o pensi che le canzoni avrebbero avuto lo stesso impatto anche suonate diversamente?
In realtà nel disco ci sono tantissime chitarre (acustiche, classiche, elettriche, slide, la chitarra sarda preparata di Paolo Angeli). Tutti i brani, inoltre, sono nati interamente o in parte alla chitarra. Quindi in questo senso non me ne sono liberato. Non sento il bisogno di quest'atto liberatorio perché non ne sono schiavo. La chitarra è uno strumento fra tanti e come tale decido se utilizzarlo o meno. All'ultima domanda non posso rispondere con certezza. I brani sono stati pensati dal principio all'interno di una tavolozza sonora e strumentale molto ampia, e questo ha inevitabilmente inciso sulle strutture, sul ritmo, sulle cadenze. Quindi direi no.
Quanto c'è di calcolato, di progettato a priori, nell'architettura finale delle canzoni? Te lo chiedo perché ho avuto l'impressione che in alcuni frangenti tu ti sia lasciato trascinare dal brano, piuttosto che guidarlo.
È molto difficile tracciare un solco netto che separi ciò che è premeditato da ciò che è invece istintivo o figlio di un'intuizione. Diciamo che da subito mi è stata chiara, molto chiara, l'idea globale di disco, la struttura architettonica. Procedendo nella scrittura e nella stesura degli arrangiamenti quest'idea ha subito inevitabili modifiche ma non è mai stata snaturata. Alcuni brani si sono dovuti piegare all'equilibrio globale e hanno trovato una struttura definitiva solo alla fine, quand'era ormai definito l'equilibrio globale del disco.
Anche lo sguardo che hai scelto nel raccontare la vicenda mi ha impressionato. Rende il racconto universale, mitico, quasi preistorico. I testi sono fatti di ripetizioni, parole brevi, secche, elementari (in "Tanca", denso brano d'apertura: "rive", "sole", "seme", "cime", "fame", "sete", "cuore", "mare"... e vengono riprese in tutto il disco). Un'evoluzione che sembra abbastanza netta rispetto alle liriche del tuo disco d'esordio. Come hai approcciato la stesura dei testi? C'è di fondo una tua idea di "poetica", una tua ricerca? E' una tappa di un percorso che continuerai o è una scelta più strettamente legata a questo disco e alla materia di cui è composto e di cui tratta?
Con le prime melodie sono emerse alcune parole ricorrenti e ossessive, quelle che citi. Le ho assecondate e mi sono lasciato guidare in un processo di scrittura diametralmente opposto rispetto a quello de La macarena su Roma. Ho lavorato quotidianamente e per circa tre anni intorno a queste parole, raccogliendo una marea di appunti, riscrivendo ossessivamente le immagini di cui disponevo, studiando alcuni autori (Pavese, Camus, Dessì, Steinbeck, Massole, Hemingway, C.Levi, Satta,) e il loro modo di costruire le frasi o di utilizzare alcuni aggettivi. Dopo una lunga fase di accumulo ho iniziato un lavoro di scarnificazione per ritornare a quelle stesse parole, lasciando che in questo processo di sottrazione emergesse la trama finale con tutti i richiami interni fra i vari brani. A guidarmi in questo lavoro è stata un'idea poetica estremamente forte che ha investito ogni dettaglio. Quando scrivo un disco lavoro inevitabilmente sull'impianto lessicale, sul punto di vista. All'ultima domanda non so rispondere ora come ora, ma mi verrebbe da dire che si è trattato di una scelta legata unicamente a questo a disco.
Credo che un disco (ma anche un libro, un film) che abbia delle pretese artistiche e non solo cronachistiche debba possedere un'immortalità, una capacità di rimanere inalterato nella sua identità profonda anche nel tempo. Quando ho finito di ascoltare DIE mi è sembrato lampante che potesse avere questa capacità. E' qualcosa di strettamente legato, secondo me, alla sua universalità, al fatto che si presti a una miriade di interpretazioni. Allo stesso tempo è incatalogabile e quindi fuori moda, cosa che lo consegna ad un tempo più dilatato e meno suscettibile alle oscillazioni di gusto e gradimento. Tutto questo non ti ha impedito di fare un disco che, mi pare di capire, piace davvero molto, e a molte persone anche diverse tra loro. Qual è il pubblico di IOSONOUNCANE secondo te?
Non so sinceramente rispondere, è una domanda che non mi faccio.
Mi è piaciuto particolarmente il fatto che si definisca DIE "un atto politico" in quanto "rivendicazione identitaria e culturale". Ti va di approfondire la questione?
DIE porta avanti un lavoro sul linguaggio e un'idea del legame fra uomo e vivente, una visione del mondo. Questa è di per sé un'operazione squisitamente politica.
Ultime domande. Ci vuoi raccontare in breve come hai registrato il disco? Il fatto che sia così stratificato e "denso" suggerisce un metodo di lavoro non del tutto ortodosso...
Esattamente, per nulla ortodosso e figlio di fasi molto differenti fra loro. Una prima stesura l'ho portata avanti da solo in Sardegna, coinvolgendo molti amici ai quali ho chiesto di suonare quello che volevano e potevano. Ho registrato con quello che avevo a disposizione in paese, compreso un vecchio microfono ritrovato nell'oratorio. Al termine di questo lavoro - durato circa un anno e mezzo - mi sono ritrovato ad avere molto materiale, troppo materiale. Ho deciso quindi di entrare al Vacuum Studio di Bologna e lavorare con Bruno Germano, fonico e co-produttore artistico del disco. Insieme e per circa un anno abbiamo portato avanti un grosso lavoro di sintesi e sottrazione, registrando nuovamente una grossa quantità di strumenti (organi, piano, fiati, percussioni), fino ad arrivare al mixaggio del disco.
Come porterai DIE dal vivo? Quanto si discosta la versione live da quella su disco?
Lo eseguirò integralmente e da solo sul palco, con campionatori, loopmachine, computer, chitarra e voce. Ai comandi ci sarà sempre Bruno Germano, timoniere imprescindibile. Nell'esecuzione live la componente elettronica è sicuramente più marcata rispetto al disco.
Ringraziando Jacopo per la disponibilità, vi ricordiamo che IOSONOUNCANE suonerà al Concerto del Primo Maggio di Taranto per poi proseguire il tour in vari festival estivi, tra cui il MIAMI a Milano e il A Night Like This Festival a Chiaverano (TO).
Comments