Verdena - Endkadenz Vol.1
- Roberto Checchi
- May 10, 2015
- 2 min read

Solo adesso, a distanza di qualche mese dalla sua uscita, sono in grado di scrivere qualcosa sul nuovo album dei Verdena, “Endkadenz vol 1”.
Il trio bergamasco è tornato sulle scene musicali dopo quattro anni di assenza. Alla fine però, ascoltando il nuovo album, sembra che non se ne siano mai andati.
I Verdena degli ultimi anni non sono certo i Verdena dei primi anni, peccato, “Requiem”, per me, è stato quasi un disco di formazione, dentro c’era così tanto, c’era il grunge, c’erano gli anni 70 psichedelici, è stato anche grazie a questo album che ho iniziato a cercare informazioni, scovare gruppi, studiare un po’ le tendenze musicali del passato.
E’ stato bello avere qualcosa da cui partire per apprendere di più.
Ovviamente non mi sono dimenticata del “Suicidio del samurai”, non mi sono dimenticata di “Valvonauta”, non mi sono dimenticata di “Luna”, “Offendimi, se odiare è un crimine il prezzo è uguale e fa male” e tantomeno di “Solo un grande sasso” unalbum che è stato davvero una grande pietra al centro del petto, o come direbbe Pietro Mansani, “Un ovosodo che non va né su né giù”. Destabilizzante, perché quando l’ho sentito, per la prima volta, ero appena uscita dalla fase Spicegirls, compatto, perché aveva un filo unico di disagio nascosto e soffocato che si allungava per tutte le tracce.
Ma ormai non si possono più fare paragoni con i lavori passati, “Endkadenz” è qualcosa di nuovo, qualcosa di dispersivo e monumentale, qualcosa che si allontana da “Luna” e dalle atmosfere rassicuranti di anni fa per allargarsi verso orizzonti che io non riesco a capire né afferrare.
Ci ho sentito Kurt Cobain, ci ho sentito ritmi musicali della musica italiana degli anni 70, ho sentito chitarre semplici, una malinconia sempre perenne, fortissima nel brano “Ho una fissa”, ma non sono riuscita ad afferrare la fine, non sono riuscita a formare un pensiero omogeneo e sono rimasta un po’ così, come si rimane davanti alle persone che non ci vorranno mai nella loro vita o come si reagisce la prima volta che si apre un libro di filosofia, disorientata. Ho cercato di trattenere dei pensieri, ma mi sono scivolati lentamente tra le dita e sono svaniti.
Forse è questo il loro intento, non dire niente perché alla fine già gli strumenti e la voce dicono tanto, un modo per far capire che i pensieri non sono compatti, le emozioni non hanno un filo unico, e se non si è in grado di reagire a ciò che ci destabilizza o ci fa sentire con un grande peso al centro del petto, tanto vale lasciare andare tutto, disperdere ogni cosa.
Non ci sono conclusioni, e perché alla fine ci dovrebbero essere? Gli stati d’animo che lacerano il petto e lasciano senza capacità di reagire non hanno una fine. Possono essere placati, ma ritornano sempre.
Arrivederci quindi, il secondo volume è già alle porte.
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