Grande raccordo animale, un piccolo racconto musicale
- Roberto Checchi
- May 26, 2015
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Quando ero piccolino, un bambino sempre malato, attaccato all’aerosol, in preda alle faringiti e alle apprensioni materne, chiedevo a papà di procurarsi una prolunga e avvicinare il tavolo al balcone.
Con la macchinetta dell’aerosol in funzione, il cavo teso in mezzo al soggiorno, l’aria pregna di antibiotici e la mascherina legata con un elastico dietro la nuca, mi sentivo un astronauta.. e come ogni astronauta che si rispetti pretendevo d’affacciarmi al mio oblò spaziale e guardare giù. E il mio oblò erano gli infissi del balcone, e il mio giù non era la luna, ma via Abate Fornari, una lunga discesa piena di bambini, magazzinieri e vecchine.
Le persone che respiravano laggiù mi sembravano piccole formichine, le macchine pesanti coleotteri, le moto vespe ronzanti, i bambini come me piccoli acari. Ognuno aveva la propria stalla, la propria cella, ognuno gioiva a modo suo, ognuno tornava nel proprio palazzo. Tutti a bordo della loro esistenza, tutti spinti dal loro destino, ognuno era un microcosmo interessante, un nuovo animale, ognuno era degno dell’attenzione di me bambino.
Dal mio oblò sul mondo imparai a riconoscere quelli che in seguito, nella goffa e strafottente adolescenza, avrei ritrovato nelle canzoni con i nomi più disparati: Abdul (“Canzone di Natale”) era una formichina nascosta dietro i giardinetti che attirava tante altre formichine; “quelli che avevano vent’anni”erano fermi sotto casa sulle vespe mentre la “ragazza eroina” era un piccolo cucciolo di puma seduto sui gradini del condominio.
Quel bambino astronauta oggi non ha rinunciato al suo sogno: ha scoperto donne che son stelle e uomini che son pianeti, canzoni che sono raggi cosmici e un album che diventerà presto suo fidato compagno di viaggio. “Grande Raccordo Animale”, di Andrea Appino.
Il frontman della band toscana mi ha stupito, coinvolto, sorpreso. “Grande Raccordo Animale” è un lavoro di sintesi, uno sguardo al reale dal suo interno. Non è facile avere una visione d’insieme dei meccanismi in cui si è coinvolti; come affermava Battiato, nel nostro organismo vivono migliaia di batteri che non hanno la percezione d’appartenere a qualcosa di più grande: io a quale organismo appartengo?
Ecco, il Grande Raccordo Animale tenta di darci una risposta: sia musicalmente che poeticamente Appino ci spinge ad affrontare interrogativi e viaggi, in un mondo dominato dai dilaganti relativismi e nichilismi, abitato da animali, tutti a girare, ognuno pagano a modo suo, ognuno immerso “in questa grande infrastruttura che è l’universo”.
Ed è grande Appino, è grande perché questa piccola verità “scoperta per caso nel traffico” non ce la presenta autorico come un santone, non ce l’annuncia con l’arroganza d’un eremita, ma ricorda un bambino che con le dita segue le formichine dal balcone, ricorda ritmi di tribale semplicità, ricorda l’istintività animale.
Il resto dell’album è una lunghissima avventura, una nave che salpa, Ulisse a bordo della Nabuco Donosor, una preghiera sputata con dolcezza, testi che innalzano lo spirito su ritmi in levare, la genuinità di una carbonara mangiata il giorno di capodanno, la disillusione della maturità che si scontra con le fantasie dell’infanzia, il sogno di un’isola utopica e New York giungla rabbiosa. Non scrivevo da molto, poi ho incontrato il Grande Raccordo Animale. Nelle recensioni ci metto spesso ricordi, esperienze personali, cercando di coinvolgere i lettori in quella che è la mia personale esperienza d’ascolto: questa volta no, le prossime due righe non posso spiegarle, farebbe forse troppo male, forse ho paura di passare per patetico, quindi prendetele come un messaggio in bottiglia trovato in spiaggia. Jacopo, avrei voluto chiederti di Nabuco Donosor, ma adesso è troppo tardi e la tua nave non è più all’orizzonte. Al porto stiamo vicini tutti, e a volte nel ricordo vediamo l’ombra della tua vela. Franscesco Paolo Lagrasta
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