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Hic Sunt Leones: in 9 artisti vi raccontiamo chi siamo

  • Roberto Checchi
  • Jun 19, 2015
  • 4 min read

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Nuovo capitolo della nostra rubrica. Andiamo a scavare dietro il lavoro degli Hic Sunt Leones, band livornese uscita da poco con il suo primo Ep, dal titolo omonimo, fatto di un pop che fonde elettronica e strumenti più classici.

Per farvi capire meglio di cosa stiamo parlando, vi lasciamo alle parole di Lorenzo, che vi racconterà le loro principali influenze.

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St. Vincent: Annie Clark, la musa che catturò me e Andrea in un concerto a Bologna ancora prima che ci unissimo sotto il nome Hic Sunt Leones. Strumentalmente una iena. Cosa ci piace di Annie? L'approccio alla scrittura, musicando film Disney ad audio muto per poi decostruirli con il suo potente fuzz. Addio sogno americano!

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James Blake: Durante i mesi di stesura delle prime tracce del nostro ep era il fenomeno del momento. Motivatamente, ha creato un modello, emulato ma ineguagliato per quanto riguarda il primo disco e gli ep più sperimentali. Nella sua musica possiamo cogliere l'eco di Mary Lou Williams e qualche pianista jazz delle origini, per non parlare di Joni Mitchell, tutte queste influenze concorrono a creare quel sound che tanto ci ha affascinato, in cui la griglia ferrea di qualsiasi editor audio o sequencer midi viene resa elastica di modo da accompagnare più umanamente la voce.

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Chet Faker: L'australiano hipster non ci dispiace, anzi. Non c'è molto da aggiungere. Estremamente pop, un altro prodotto dell'ondata di incontro fra soul ed elettronica, piacendoci entrambi i generi di per sè siamo stati vittima anche noi del trend. Meno sostanziale del suddetto James Blake ma danzereccio al punto giusto per far agitare le natiche in qualsiasi circostanza. Funziona anche al mattino dopo un after, garantito, se poi in coppia con Flume... Consigliamo l'ascolto di alcuni brani rifatti con la band dal vivo, in cui figura anche una cover di Burial.

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Steve Reich: Compositore contemporaneo americano di musica minimale, è un punto di riferimento per molti artisti elettronici a dire il vero. Principalmente perché ha tradotto in linguaggio occidentale approcci alla musica di matrice africana. La sovrapposizione di patterns (segmenti musicali) e la stratificazione di timbri simili fra loro sono stati illuminanti per le rifiniture del disco, soprattutto in Earthling.

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Radiohead: La lista di motivi per cui sono imprescindibili nel panorama musicale pop (genericamente parlando), è infinita. Giusto qualche giorno fa riascoltavo l'ultima traccia di Pablo Honey, pura casualità, ignoravo si trattasse di un brano shoegaze. E' questo per me uno dei loro punti di forza, a distanza di anni ti sorprendono a ogni riascolto, l'orecchio matura e in ogni caso potrai trovare in loro anche un elemento solo che all'ascolto precendete davi per scontato o non notavi nemmeno. Il quintetto di Oxford, ammesso che si possa sempre chiamare quintetto, ad oggi incarna l'ideale di band che funziona: come in una coppia aperta ognuno, grosso modo, sviluppa progetti paralleli per poi tornare a casa base e tirare le somme per il prossimo disco dove si potranno isolare e avvertire i singoli contributi.

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Fela Kuti: L'afrobeat non scende a compromessi. Brani di 30 minuti, poliritmie che inducono alla trance, inesorabili, e ultimo, ma non meno importante aspetto, i piedi ben piantati nel presente politico e sociale. La musica di Fela aveva significato ancora prima d'essere composta, era programmaticamente identitaria di un popolo e di una controcultura e identitariamente programmatica. Insomma il buon caro Fela ed il sodale Tony Allen non solo han creato un genere ma anche una poetica propria per quel tipo di sonorità, tanto che quasi sale il senso di colpa nel creare brani pop con influenze di questo tipo. Scusa Fela!

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Flying Lotus: Pronipote di Coltrane, è un musicista elettronico e rapper statunitense. Si pone a metà fra la Glitch Music, l'IDM e il Jazz. Until The Quiet Comes è un capolavoro e per un certo periodo l'abbiamo ascoltato in loop. Un viaggio lungo 18 tracce che parla del sogno, e in effetti ce lo descrive tutto. Oltre a collaborare con il bassista Thundercat e il batterista Chris Dave, altri strumentisti della scena Nu Jazz, hanno registrato con lui lo scomparso Austin Peralta, giovane prodigio, e Herbie Hancock.

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Devendra Banhart: Per quanto non sia apprezzato da tutti i membri della band è un'influenza che è in qualche modo filtrata nell'album. Almeno così ci hanno detto in fase di master. E' un artista dai molti talenti che si è distinto anche per i suoi look da personaggione. Ciò nonostante musicalmente è valido. Venezuelano di origine, mantiene un legame saldo con tutto il sud america scrivendo in spagnolo e in portoghese oltre che in inglese. Non uno sprovveduto come potrebbe sembrare.

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Jeff Buckley: Mostro sacro e unico. Aveva il dono di comunicare con le folle intimamente e parlando al singolo. Immagino che andare a un suo live poteva dare l'impressione che stesse sussurrando all'orecchio di tutti simultaneamente, ma, allo stesso tempo, in maniera esclusiva a ognuno dei presenti. Un'esperienza religiosa a suo modo, spirituale se non altro. Nulla da aggiungere, parla da sè: assoluto.

 
 
 

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