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Ritorno al nichilismo: quando “Lavorare Stanca”, il nuovo singolo de “Il Teatro degli orrori”

  • Roberto Checchi
  • Sep 12, 2015
  • 2 min read

Quando leggo Rimbaud, io vorrei farlo con la voce di Pierpaolo Capovilla. Quando sorseggio Esenin, io vorrei sputare come Capovilla. Quando passo sulla soglia della bottega del fabbro, in via Imbriani, nel suono metallico, nella folgore soggiogata alla maschera scura dell’artigiano, nel “sapore sanguigno del ferro”, io ascolto il Teatro degli Orrori. Sono stati, e da oggi sono tornati ad essere, Pierpaolo & Co. , una band sui generis, una tappa dell’adolescenza che diventa riferimento adulto, l’horror vacui che diventa gaudium vacui.

Ritornano oggi 11 settembre 2015, dopo 3 anni dall’ultimo album, con il primo singolo da “Il teatro degli orrori” (in uscita nell’ottobre prossimo): “Lavorare Stanca”.

Lavorare stanca. Niente di nuovo. Lo sappiamo, miei cari. Lavorare logora, innervosisce, stressa, sterilizza, disinfetta. Ma.. ma i Teatro degli Orrori vanno oltre la banalità, mi si lasci dire “borghese”, del lavorare che stanca, che debilita, che il tempo lo perdo e dovrei trascorrerlo con i miei figli, che se non si lavorasse di sabato andrei all’Ipercoop con i nipotini. Ma siamo tutti desiderosi di immortalità, e poi se la domenica pomeriggio piove non sappiamo che fare (cit. Susan Ertz).

Capovilla scavalca la recinzione arrugginita delle futili lamentele sul come si lavora, per arrivare al ben più devastante quesito: perché? Perché lavorare stanca, perché lavorare uccide, perché non fuggire, perché non cambia?

E’ nella causalità logica che la vita sembra perdere senso: i giorni assomigliano ai grani tutti uguali di un divino pallottoliere, agitato da un Dio stanco e dispettoso. L’assenza del perché avvilisce il come, il quando, il cosa: rimane un chi solo, psichedelico, un’immagine, un segno. Di qui il video, immagini montate ad arte su un testo in sovraimpressione che mette i brividi (“lo sanno tutti che in Finmeccanica i soldi veri li fanno con le armi, e noi qui ad amare i nostri bambini”): a volte sembra di trovarci un legame, tra segno e significato, a volte sembra di brancolare in un inferno di impulsi contrastanti, di pitture rupestri e scimmie col vizio del potere.

Su tutto però emerge la voglia di fuggire, la voglia quasi da “nobile selvaggio”, di evadere in un mondo naturale di bellezza.

L’oceano ulula così bello da far quasi paura.

 
 
 

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