Intervista ai Vox Delitto
- Nov 18, 2015
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Dopo aver ascoltato Potlatch, il primo disco dei Vox Delitto, abbiamo pensato di far loro qualche domanda riguardo i loro momenti salienti e il perché di alcune scelte stilistiche
Questo è il risultato dei nostri interrogativi:
Come si è formato il vostro gruppo?
Il gruppo è nato spontaneamente fra amici con affinità di gusti e intenti. Dopo le prime esperienze musicali di ciascuno, abbiamo deciso di dar vita ad un progetto comune. La nostra esperienza artistica è stata ed è tuttora indissolubilmente legata ad un ambiente che chiamiamo «La Stanza»: tutto quello che facciamo noi e gli altri con cui condividiamo questa realtà ha una matrice comune. Possiamo dire che i Vox Delitto sono uno dei figli della Stanza.
Perché avete deciso di chiamarvi Vox Delitto?
Cercavamo un nome che non suonasse troppo italiano, ma che al tempo stesso non fosse anglofono. Ci piaceva l’idea che avesse una nota noir, e una parola in qualche modo «internazionale» ed emblematica. Vox Delitto suona bene, si abbrevia facilmente in Vox, è bello da vedere scritto e VD è una bella sigla.
A cos’è dovuta la scelta di abbracciare il genere tra psychedelic e stoner rock, punk e folk?
Non c’è stata nessuna scelta: i generi attraversati sono emersi dagli ascolti e dalle attitudini di ciascuno. Le influenze psichedeliche e punk sono emanazioni della Stanza, lo Stoner (di cui c’è solo una vaga reminiscenza) l’abbiamo respirato nei Sotterranei e il folk fa parte della nostra formazione musicale. Dobbiamo molto ai cantautori italiani.
Chi ha influenzato maggiormente il vostro suono?
L’unica influenza abbastanza precisa è quella del basso, sulla scia dei bassi punk e new wave (dagli Stranglers ai J.D., fino ai Fugazi). Per il resto, le maggiori influenze vengono dai gruppi e dai musicisti della Stanza, Spleen su tutti.
A chi potete dire di ispirarvi?
A Dylan Dog.
C’è qualche artista internazionale in particolare con cui vorreste collaborare?
In particolare nessuno, anche se è bello fantasticare su collaborazioni improbabili. Che ne so, scrivere una colonna sonora per Lynch (anche se probabilmente se la scriverebbe meglio da solo), o fare le basi per un nuovo album rap di Neffa… le collaborazioni spesso sono qualcosa che nasce per caso, e spesso proprio da collaborazioni improbabili si ottengono risultati molto belli.
Parliamo di Gli indiani al centro della terra, come mai avete optato per il rifacimento di questa canzone e l’adattamento al vostro genere?
Gli indiani al centro della Terra è una reminiscenza dell’asilo riemersa in fase di composizione di Potlatch, il nostro primo EP. Il Potlatch era un rito praticato da alcune tribù di nativi americani, durante il quale venivano dilapidati beni materiali, che abbiamo usato come immagine allegorica della Liquefazione (o Liquidità), tema generale dell’EP. Gli indiani al centro della Terra è una canzone che già di per sé è un rito (la si balla in gruppo mimando le azioni evocate dal testo) e ci è sembrata perfetta per iniziare il nostro Potlatch, dove rappresenta l’innocenza originaria di un girotondo di bambini, stravolto poi dalla seconda parte della canzone e dal proseguimento dell’EP.
State già lavorando a qualcosa per il vostro futuro?
Sì, stiamo lavorando ai nuovi brani, per ora senza scadenze precise.
Non resta quindi che aspettarli. Noi siamo curiosi.
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