Intervista a Flavio Giurato
- Roberto Checchi
- Dec 21, 2015
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E’ passato ormai quasi un anno dall’uscita de La scomparsa di Majorana, album che sancisce il ritorno sulla scena del cantautore romano Flavio Giurato. Flavio Giurato conosce a cavallo degli anni settanta e ottanta un periodo particolarmente fertile: vengono pubblicati in ordine Per futili motivi (1978), Il Tuffatore (1982) e Marco Polo (1984). Pur ottenendo il favore della critica i dischi rimangono ricercate realtà di nicchia: il cantautore si allontana quindi dal mondo della musica edita, continuando a coltivare la propria personale ricerca in solitaria, lontano dalle meccaniche del mercato. Nel 2002 con Il manuale del cantautore Flavio torna alla ribalta, proponendo un disco autoprodotto e distribuito esclusivamente sul web dallo stesso cantautore. Flavio Giurato è esperto artigiano del suono, liutaio liquido, poeta eclettico: abbiamo deciso di intervistarlo. Cosa ne è scaturito? Un documento che narra dello spessore artistico di un uomo che nulla ha lasciato al caso, un botta e risposta che speriamo vi offra nuove chiavi di lettura per l’ascolto di La scomparsa di Majorana. Parliamo subito del nuovo album, e partiamo dalla superficie.. La copertina de La scomparsa di Majorana ha sin da subito suscitato in me curiosità, cosa rappresenta? Una spiaggia allucinata, direi meccanica, fredda, scarna.. in che rapporto l’immagine convive con le tracce? Il rapporto della copertina con le tracce dell’album è il rapporto che lega la copertina alla title track. L’immagine di Claudio Lorenzetti racconta La scomparsa di Majorana e la scomparsa di Ettore Majorana. L’immagine mi fa pensare alla tecnologia che finisce in niente. In qualche modo il pontile mi ricorda il trampolino di un tuffatore e la ruota sembra il reticolo di un mirino per la guerra. Che cos’è e dove minchia va quella macchina? Tutto il lavoro nasce dalla suggestione di una frase di Lady Diana Spencer che avrebbe voluto vedersi dissolvere in un bicchiere d’acqua come la pastiglia dell’alka seltzer. Scomparire, cambiare identità, accannare tutto.. ed ecco il disco. Al primo ascolto l’album si presenta articolato senza essere complesso, a tratti isolazionista senza mai essere intimista: lo definirei un invito alla solitudine vissuta, scevra da ogni slancio “passionale”, un rito di ricongiunzione all’assenza sociale (come lostesso titolo ricorda) come cura. Mi sbaglio? La solitudine di Majorana è la solitudine dell’insoddisfazione per l’ambiente umano che ti circonda.. che può portare ad una melanconia sugli esiti di un’esistenza. L’uso militare della mia ragione porterà a fare di me un assassino… non dev’essere stato facile. Comunque nessun invito alla solitudine, piuttosto un magari temporaneo togliersi di torno pieno di appunti da lasciare a qualcuno. Credo che l’armonico a livello musicale bene esprima la ricerca di purezza informale, di calda esattezza. In che modo, a livello artistico, gli armonici così presenti nell’album, rappresentano un valore aggiunto? Ma... sicuramente in modo terapeutico. Un anno di lavoro in un ospedale psichiatrico come musicoterapeuta mi ha pienamente convinto delle stupefacenti proprietà curative degli armonici. “Mi sento più rilassata... mi sento meglio...”. C’è voluta una particolare tecnica diesecuzione e di registrazione.. possibili entrambe grazie alla sapiente visione di Piero Tievoli e alle giovani mani di Andrea Cozzolino. Nella musica industriale gli armonici sono carne da macello, non arrivano all’orecchio di chi ascolta. Nel lavoro artigianale l’armonico è il vanto della bottega. Si rincorrono spesso nei testi “i bambini”, vittime incoscienti einnocenti carnefici. Chi sono “i bambini” in quest’Italia? Quali sonole “infantili categorie” in questo paese alla deriva? La migliore risposta che posso darti è il consiglio di vederti un cortometraggio di Cecilia Mangini, Il canto delle Marane. I bambini di oggi sono sotto attacco.. dietro l’offerta sempre più ingannevole si nasconde una sanguinosa caccia al consumatore. Dal gioco i bambini sono passati al giogo. Se non l’hai già fatto vediti Il canto delle Marane e soffermati sulla scena finale.. quando la carrellata muta di volti di bambini offende selvaggiamente gli adulti che saranno. Nei bambini c’è rivolta.. negli adulti se ti dice bene riforma.
La scomparsa di Majorana, e parlo della mia personale esperienza,mi ha fatto riscoprire il significato della parola “traccia”, nel senso più organico e umano del termine. In cosa differisce rispetto alla produzione precedente? Sicuramente ho fatto la scelta di pubblicare lavori sempre diversi l’uno dall’altro. La scomparsa di Majorana non ha accentuazione timbrica di battere e levare. Non c’è batteria. La percussione di Italia Italia... per capirci... è prodotta battendo i due estremi del ponte della chitarra (il ponte è dove si attaccano le corde). L’accentuazione del levare della musica industriale dà sicuramente assuefazione.. forza l’ascolto. Mi piace avere i miei ascoltatori più liberi di pensare... in questo La scomparsa di Majorana è uguale a tutti i miei altri lavori. E, un’ultima domanda, a bruciapelo… La musica puo’ essere assenza, indipendenza, scomparsa? In che modo la musica puo’ svincolarsi dai meccanismi dello spettacolo? La musica deve essere sicuramente indipendenza e deve essere sicuramente anche assenza.. vedo troppi talenti che si fanno spremere come limoni. La musica non deve essere mai scomparsa.. se scompare il torto è di chi non ascolta. I meccanismi dello spettacolo servono alla musica industriale e vanno mantenuti. La rete ha già creato una musica completamente svincolata. Spero che il suo futuro sia il più armonico possibile.. aggiungendo che.. dove vanno a finire gli armonici non lo sa nessuno.
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