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Foals - Fabrique, Milano, 28/01/16

  • Roberto Checchi
  • Jan 29, 2016
  • 2 min read

E’ la prima volta che mi reco ad un concerto felice. E paradossalmente ci vado pure controvoglia. Temo che per qualche ragione a tutti nota quell’eccesso di allegria potrebbe portare a:

-mari interminabili di smartphone alzati con un’ illuminazione che potrebbe fare invidia alla via crucis di Natale in Vaticano

-coppiette fondersi nel classico limone-da-live per il 97% del concerto staccandosi solamente sul pezzone per qualche cantato, ma sempre con pudore

-adolescenti in preda all’ormone più ormonato incitando il sesso libero e non protetto con i membri della band.

E per un momento le mie paure ed incubi peggiori del classico live internazionale milanese sembrano concretizzarsi e prendere forma come un mostro ad otto teste che mi avrebbe fatto pentire per settimane di quell’acquisto veloce ed istintivo da ticketone.

Pubblico eterogeneo, giovanissimi e meno giovani, padri e figli, coppie, amici, dialetti di tutti i tipi e pure qualcosa di internazionale.

Gli Everything Everything attaccano presto e devo ammettere che non li avevo mai ascoltati prima, mi erano sempre stati consigliati da qualche amico accanito scopritore e ricercatore su spotify. Mi piacciono, belle vibrazioni, il mix di basso e tastiera mi suona lontanissimo Enter Shikari ma forse solamente per il colore di capelli del cantante. Ma il pubblico sembra apprezzare, tutto tranquillo, si ondeggia un po’.

E i Foals. Mountain at my gates, sento un’aria strana che mi spinge in avanti. Mi avvicino al centro nevralgico del concerto abbandonando per un attimo il mio amico e la mia posizione in retrovia. E mi si apre un mondo fino ad allora sconosciuto. Ebbene sì ai concerti dei Foals si poga, anzi per la prima volta dal mio trasferimento a Milano mi butto nel pogo senza troppe pretese, mi sento quasi bene, tutti si divertono, ballano, il pogo è delirante, sembra un misto di epilessi dance e ballo di gruppo con trenino da ultimo dell’anno. E cazzo se mi piace. My number si comporta come la classica hit internazionale. Il padre di famiglia davanti a me è visibilmente emozionato, e un po’ mi emoziono pure io. La mia classica rabbia da concerto che solitamente mi spinge in pogo violento condito di sudore e desideri maniaco omicidi sparisce, il mio classico maglione di lana nero si fa un po’ meno nero e mi cucio addosso un sorriso da carta stampata che neanche se mi avessero messo davanti una bottiglia di Montepulciano.

Si fatica un po’ sullo stage diving di Yannis ma quando ogni speranza sembra perduta lo ritrovo aggrappato al bancone del bar. Ed ecco che ce l’hai fatta pure tu mia cara Milano, sei uscita dal tuo guscio di boria e malizia, hai fatto togliere le giacche col pelo e i cappellini di lana ai live e ci hai mescolati tutti in quella danza sgraziata, scomposta, a tratti pure malinconica ma così schifosamente emozionante che è la musica dei Foals.

Così salgo nel consueto tram lasciando un po’ del mio turbamento interiore tra gli accordi di Yannis. Ed è una terapia, ve lo posso giurare. Lucia Bertazzo

 
 
 

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