Mezzala - Irrequieto
- Roberto Checchi
- Feb 25, 2016
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La difficoltà grossa di recensire un disco del genere sta nella mancanza di stupore. Irrequieto, il secondo lavoro da solista di Michele Bitossi, già cantante dei Numero6, fa il suo mestiere: accompagna l'ascolto con leggerezza, in un cantautorato acustic-poppettaro dalle tinte spesso retrò, che sarebbe da fischiettare se rimanesse nella testa qualche tempo in più della sua durata reale. Canzoni d'amore e di vita che scorrono comode ma senza aggrapparsi a granché, con arrangiamenti precisi e gustosamente vintage (forse troppo: Sei l'unica ferita) ma spesso senza guizzi o storture che li nobilitino, punteggiati da una voce chiara e decisa che però non colpisce per timbrica o particolare abilità tecnica o melodica.
Difficile, dicevo, prendere posizione su un disco del genere: è piacevole, senza dubbio, e non è certo prodotto male o scritto in modo raffazzonato, anzi. Non è, però, riuscito a stupirmi: si è lasciato ascoltare, è passato senza ferire o meravigliare troppo. Intendiamoci: non necessitavo di fuochi d'artificio, di giocoleria prog, di dissonanze forzate. Se il gioco è pop, che sia pop; ma allora mi deve inchiodare in qualche modo, fosse anche con spilli sottilissimi, evanescenti, ma lo deve fare. E qui, purtroppo, non si fa molto.
C'è, a dirla tutta, qualche raggio di luce inaspettato, qui è là: penso a Chissà, vestita in modo più originale del resto, con un ritmo brillante e inaspettato e un andamento più imprevedibile, o a qualche testo più focalizzato degli altri (per esempio Capitoli primi, anche se poi il risultato complessivo non mi entusiasma, o La classifica, con la sua ironia amara); ma sono episodi che non bastano a rendere veramente memorabile il tutto.
Irrequieto è un disco che non è certo da stroncatura, ci mancherebbe: è una più che degna collezione di canzoni scritte con passione, spesso amare, sempre molto personali, di un cantautore che sa scrivere e sa anche, con più o meno chiarezza, dove andare, come suonare. Purtroppo non fa, qui, molto più del necessario: e il retrogusto che lascia, per quanto dolce, è ancora tenue, ordinario, innocuo. Lorenzo Cetrangolo
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