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Guerrra - Soprusi

  • Roberto Checchi
  • Mar 9, 2016
  • 2 min read

Ci sono dischi che non hanno un'identità vera e propria: se la cuciono addosso con l'attitudine e la confezione – artwork, titoli, eccetera – e spesso la loro funzione non è coagulare una tifoseria, un pubblico che in quel suono, in quelle canzoni si identifichi, ma più che altro scavare nelle orecchie di chi ascolta sentieri nuovi, e se non proprio quelli (cosa in verità sempre più difficile) almeno nuove iterazioni di sentieri già scavati, o piccole, ma non per questo meno curiose, variazioni sul tema.

Vedo e sento così questo Soprusi dei ternani Guerrra, che parte bene dalla cover e dal concept (“soprusi”, appunto, con i pezzi che titolano Ipazia d'Alessandria, Pippa Bacca, Giordano Bruno, Nikola Tesla, e così via: tutte vittime, in modi diversi, della violenza, della sopraffazione, della – più prosaicamente – sfiga) e continua in modo dignitoso nell'attitudine sporcacciona e minimale di una chitarra mobile e acida e di una batteria epilettica, nervosa.

In due non per scelta ma per necessità, dato l'abbandono del bassista poco prima delle registrazioni, i Guerrra tengono in piedi il disco con questi e pochissimi altri ingredienti (sento quello che pare un sax nell'impasto della finale Maria Soledad Rosas, per esempio) e il risultato è frizzante e mosso, sbavato qui e là ma nevrotico quanto basta per darsi una ragione nelle ritmiche storte e nelle frenetiche corse della chitarra, che abituano le orecchie, per una volta, ad altro che non sia i quattro accordi e i quattro quarti. Un jazzcore matematico e caotico, fatto di scatti rapidi e tagli netti, spigolosi.

Non c'è magari un'eccellenza particolare o un'idea forte che conquisti al volo e inchiodi all'ascolto ripetuto e incantato, ma il disco fila liscio e intrattiene quanto deve, con qualche gioco più vario (una Alan Turing di noise, echi di musica concreta e pasta ambient, o la già citata Maria Soledad Rosas, più piena e onirica) a stemperare un mood che si mantiene altrimenti stabile in tutto il lavoro. Una bella atmosfera e una bella idea concettuale per un disco da gustare in combo con qualche altra attività distratta e cervellotica, come l'osservazione nichilista della cupa pioggia invernale o il crogiolarsi masochistico nelle angosciose ansie di accidiose, vuote ore pomeridiane. Lorenzo Cetrangolo

 
 
 

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