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Krano – Requiescat In Plavem

  • Roberto Checchi
  • Jul 9, 2016
  • 2 min read

Nel 2012, dopo aver chiuso l' esperienza con i Vermillion Sands, Marco Spigariol in arte Krano, si ritira sulle colline intorno Valdobbiadene. Quì, solo, con la natura che lo circonda e con un Tascam 388, si dedica anima e corpo alla realizzazione di Requiscat In Plavem, disco uscito ad aprile di quest'anno grazie a Maple Death Records. Quattro anni infatti sono serviti a Krano per dare letteralmetne vita al suo personale omaggio alla terra che gli ha dato i natali, il Veneto, e alla sua storia. Il disco, un misto di blues e folk, è stato completamente cantato in dialetto. È proprio questo il primo rimarchevole merito che va riconosciuto a Requiescat In Plavem, all'interno del quale la lingua veneta rinasce a nuova vita e le viene conferità una dignità che forse non aveva mai avuto prima al di fuori di certi ambiti musicali. Il secondo merito è quello di averla usata come veicolo per raccontare storie così visceralmente legate a quelle colline selvagge a ridosso delle Dolomiti e al fiume che gli scorre in basso, tali da restituirci un universo vivo ancora oggi che la Grande Guerra è purtroppo solo un ricordo legato al nozionismo inculcatoci dai sussidiari scolastici. Le battaglie sanguinose, i corpi straziati che il Piave ha accolto tra i sui argini, il vino, l'amicizia goliardica, l'amore, la bellezza sconfinata della natura. Tutto questo è RIP, album epico che, realizzato con una strumentazione essenziale (chitarra, armonica a bocca, piano, basso e batteria), ripesca e reinterpreta in modo originalissimo un folk sporco e psichedelico.

Mi e ti, traccia d'inizio del disco, è una ballad avvolgente stile Neil Young che sprofonda in un ritornello perfetto.

In un saloon dove servono solo vino Tosca, si ascolta da lontano un piano scordato honky tonk che introduce una marcetta country– è infatti l'intro di Tosca, secondo brano in scaletta -, perfetta per gag esilaranti da film muto. Più avanti Vergine de Luce, una murder bullad che sfoggia una chitarra distorta quasi quanto la voce rauca e ubriaca di Spigariol. La stessa voce biascicante e sofferente che ascoltiamo in Romit, traccia superba, con quell' unico accompagnamento di chitarre acustiche che in fondo non fanno altro che parlarsi tra di loro. Le stesse meravilgiose e solitarie chitarre di Schei, se possibile, ora ancora più scordate. In Amighi, pezzo che in quel “Me fide ti”, dice tutto su cosa siano i solidi rapporti d'amicizia, ritroviamo di nuovo il piano honky tonk scanzonato a fare da accompagnamento. Va pian traccia malinconica che chiude il disco, è seguita da una lungha bonus nascosta, questa sì, la più psichedelica dell'intero album. Una lunga e sospesa traversata finale.

Requiescat in Plavem è un disco che va ascoltato con attenzione. Primo, perchè naturalmente ha questa lingua tutta da capire e da scoprire. Secondo perché trasuda la reale urgenza di utilizzare la musica come medicina per curarsi o purificarsi (e noi, ci crediamo ciecamente in questo potere). Terzo, perché è un disco stupendo, benché sporco e ruvido, tra i migliori che siano stati rilasciati in questa prima parte di 2016 in Italia.

 
 
 

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