Belize - Spazioperso
- Roberto Checchi
- Sep 28, 2016
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I varesini ≈Belize≈ esordiscono con Spazioperso e con la loro idea di “mix dub e trip-hop”, undici brani in cui l’obiettivo (si sente) è far muovere il collo e i piedi, magari a volte trascinandoli un po’, sfatti (Decidere), altre volte tentando il put-your-hands-in-the-air (CV pt. II), sempre però con una patina di spleen disincantato intervallato da ansie tardoadolescenziali e banalità un tanto al chilo.
Ecco quindi subito il punto di forza del disco affiancato a quello più debole: da una parte, una encomiabile ricerca sonora, dagli arrangiamenti ben ragionati, dalle precise scelte timbriche e con un’attenzione particolare per le atmosfere, che tirano quando devono (24-7) e pressano altrove (Bovisa a mano armata) e altrove ancora si sospendono rarefatte e oscillanti (CV pt. I), con dei pregevolissimi intermezzi strumentali che spezzano il ritmo senza impantanare la tracklist (la titletrack, di glitch e ossessione, o la meditativa Cecilia); dall’altra, un vuoto pneumatico nel racconto e nello sguardo, inutilità tagliate grosse, giusto per riempire di parole lo spazio a loro adibito (la bruttezza lirica dell’incipit Check-In, da questo punto di vista, è senza fine, spiace dirlo).
Ci sta anche: il disco è, visto da qua, un costrutto sonoro, più che narrativo, e procede per suggerimenti di colore, di melodie e ritmi (la già citata Check-In si risolleva in un attimo quando parte quella batteria D&B ad accompagnare i synth – ed è subito sfrecciare nella notte coi finestrini abbassati e la radio a palla). Non è un romanzo, né una graphic novel, e forse nemmeno un dipinto figurativo rinascimentale od ottocentesco: ha una naïveté intensa e bambina che pare espressionismo astratto, macchie di colore piene di buona volontà e/o fantasmi che non raccontano granché o al massimo raccontano quello che vuoi vederci tu. Un plauso va al rapper Disa che lascia gustosa traccia di sé su 24-7 e Due e che suo malgrado mostra forse una forma più accattivante (ma forse meno originale) di narrazione su questo tipo di sound.
In generale un disco piacevole e che merita per la ricerca sonora, libera anche da troppi condizionamenti e con il coraggio di pescare ciò che vuole dal mare magnum che è la musica elettronica nelle sue forme più alternative (breakbeat, drum’n’bass, trip-hop, rap), ma che oltre a questo sollazzare notturno dice poco, e questo poco è pure – purtroppo, e nonostante l’entusiasmo – poco interessante. Da ascoltare col corpo.
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