Novamerica - Novamerica
- Roberto Checchi
- Oct 19, 2016
- 1 min read

Lasciandoci prendere dall’euforia per questo album lo abbiamo inserito tra i migliori dischi della prima metà del 2016 senza prima averlo recensito, tuttavia a posteriori possiamo parlarne senza la minima ombra di dubbio: si merita di certo una poltrona d’onore all’interno di quella lista. Se al primo ascolto l’omonimo disco dei Novamerica non era riuscito a rapirmi completamente devo rivedere le mie posizioni. Ogni volta che riparte dalla prima traccia la mia curiosità cresce in modo esponenziale.
Chiedendomi come possano stupirmi più dell’ascolto precedente, e senza trovare una vera e propria risposta, posso solo prendere atto del mio crescente apprezzamento. Si entra subito nel vivo del disco con un pianoforte tedesco degli anni ‘30, arricchito da un’accordatura fuori dai canoni che ne rende le sfumature colorate ed inaspettate: è questa la vera spina dorsale su cui possono solidamente poggiarsi gli altri strumenti. Tra tutti svetta la voce, che, usata con eleganza e maestria, richiama alla mente nomi internazionali del calibro dei The Strokes e Phoenix, posizionandosi a metà strada tra Julian Casablancas e Thomas Mars. La chitarra che viene ad aggiungersi, a tratti sovrastruttura e ad altri preferendo un canale più coeso con gli altri strumenti, alterna melodie celate nell’ombra fatte di ottimi giri che solleticano la mente ed accordi più corposi e ruvidi, pure questi degni di nota. La coralità degli strumenti (tutti, compresa la voce) è in questo caso un inequivocabile segno di maturità e di una poliedricità che riesce a darci una visione a tutto tondo della band.
Dopo averne assaporato i numerosi dettagli e sfumature, questo entra di diritto nella rosa dei migliori album ascoltati quest’anno.
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