Lo chiamavano Jeeg Robot
- Roberto Checchi
- Oct 29, 2016
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Dopo una carriera come attore e due brillanti cortometraggi (tra i quali l’ultimo, Tiger Boy è arrivato alla shortlist degli Oscar) Gabriele Mainetti approda alla regia del suo primo lungometraggio con un film che porta una ventata di novità nel monotono panorama del cinema italiano.
La storia racconta di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) un delinquente che entra in contatto con una sostanza radioattiva. A seguito di un lavoro fallito scoprirà di avere una forza sovrumana, forza che sfrutterà per la sua carriera criminale. La sua vita avrà una svolta grazie all’incontro con Alessia (Ilenia Pastorelli) ragazza mentalmente disturbata e dal passato problematico che lo confonderà con l’eroe del cartone animato giapponese Jeeg, robot d`acciaio. I due si troveranno invischiati in uno scontro tra la Camorra e la criminalità della periferia romana per il futuro della città stessa.
Una storia di genesi che resta fedele ai canoni del genere supereroistico americano, l`incidente scatenante, la presa di coscienza delle capacità, il rifiuto alla chiamata e la svolta “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, ma sarebbe riduttivo sostenere che il film si limiti a seguire questi dettami, al contrario riesce ad impossessarsene per rinnovarne gli schemi, inserendoli in uno scenario insolito ma realistico, nel degrado della periferia romana del quartiere di Tor Bella Monaca, con il suo sottobosco criminale, le sue inflessioni dialettali e i suoi personaggi da borgata, il film “coniuga l'immaginario delle animazioni giapponesi tv viste nell'infanzia al mondo poetico di Pasolini”. Sebbene il titolo possa trarre in inganno, la cultura dei cartoni animati giapponesi non è uno degli elementi cardine della storia, essa ha la funzione di filtro, una lente magica attraverso la quale i personaggi si relazionano con i problemi.
Come nei cortometraggi precedenti, Alessia (ma anche Antonio in Basette e Matteo in Tiger boy) si strania dal suo mondo di miseria per cercare la forza di reggere agli urti della vita, riuscendo a trovare un riscatto personale. Quella di Mainetti è un’operazione coraggiosa, rifiutato da diversi produttori e costretto a finanziarsi (in parte) da solo, riesce a dar corpo al ridotto budget, la pellicola si dimostra una scommessa vincente grazie alla grande capacità del regista di gestire i diversi ambiti, dalla sceneggiatura (scritta a partire dal soggetto del socio di sempre Nicola Guaglianone) alla composizione delle musiche (composte anche con l`aiuto dello stesso Santamaria).
Ma se è vero che al regista/autore totale vanno riconosciuti grandi meriti, parte del successo è da imputare anche all’ottimo lavoro attoriale. Claudio Santamaria, con una preparazione degna dei colleghi statunitensi, arriva a prendere venti chili di massa per meglio vestire i panni dell’inamovibile eroe de Roma. Perfetta sullo schermo la chimica tra lui e la co-protagonista Ilenia Pastorelli, forse la vera grande sorpresa del film, salita alle cronache come concorrente del Grande Fratello, è riuscita a convincere gli scettici (tra cui lo stesso Mainetti) con un eccellente prova. Ma un eroe non sarebbe un grande personaggio se non avesse anche una grande nemesi, e il ruolo calza perfettamente al pazzo scocciato Luca Marinelli, villain che oscilla tra folli momenti da joker e la passione per la musica pop italiana (da Anna Oxa a Loredana Bertè).
Se il tiepido Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores può vantare il titolo di primo superhero movie italiano, questo può definirsi il primo grande successo del genere, con sette David di Donatello e oltre cinque milioni di incassi , arrivando tra i candidati a rappresentare l’Italia agli Oscar, Lo chiamavano Jeeg Robot apre la porta ad un ventaglio di nuove possibilità per i film di genere italiani, e noi non possiamo che guardare al futuro con ottimistica fiducia, aspettando il prossimo lavoro di questo promettente esordiente. Gianluca Tana
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