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Soviet Soviet - Endless

  • Roberto Checchi
  • Dec 30, 2016
  • 2 min read

La scia di luci e di bagliori accesa ininterrottamente per i tre mesi della stagione si smorza” e, continueremmo noi, davanti alla spiaggia deserta di Pesaro, in Inverno, col freddo che tagliuzza la pelle e quel mare scuro scuro davanti, ci può prendere la nostalgia di qualcosa di lontano. Tondelli parlava di Rimini, ma l'inverno in riviera è desolato ovunque. La percezione sfuma nel ricordo, la nebbia si posa sulle ceneri ancora calde, sopra ai quattro quarti della sezione ritmica si addensano ritornelli rarefatti e un'indeterminata sensazione di vertigine.

I riferimenti principali di Endless, secondo disco dei Soviet Soviet (uscito a tre anni dall'esordio Fate), sono quelli classici, quelli presenti nel dna di ogni formazione post-punk: ritroviamo le geometrie asfissianti della sezione ritmica dei Joy Division/New Order, i riverberi e l'attitudine melodica degli Echo & the Bunnymen, le staffilate chitarristiche dei Bloc Party di Like Eating Glass. Il disco suona molto profondo, effettato, quasi come arrivasse da un altro posto, e condivide con Loveless dei My Bloody Valentine una mancanza, una spazialità dilatata, un senso di vuoto da riempire.

Questo vuoto i Soviet Soviet lo riempiono con un suono grasso, sporco, ma allo stesso tempo spigoloso, gelido. Le canzoni dell'album si susseguono senza soluzione di continuità, dall'iniziale Fairy Tale, che chiarisce subito quali sono gli elementi sul piatto, all'anthem Remember Now, che non avrebbe sfigurato su To Lose my Life, fino a Surf a Palm, che in un ipotetico saggio sull'uso della chitarra come arma bianca comparirebbe subito dopo Munich degli Editors. La copertina del disco, infine, non si discosta molto da quella di Fate: in entrambe una nebulosa, un qualcosa di lontano, indistinto, luccicante. Allora però era il blu a predominare, la geometria, le linee rette; in Endless il rosso sta al centro, occupa quasi tutto lo spazio, che si fa più caldo, più pieno. Al centro però il cuore di tenebra rimane. Fernando Giacinti

 
 
 

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