Edless: in 10 artisti vi raccontiamo chi siamo
- Roberto Checchi
- Jan 18, 2017
- 6 min read

Torna la nostra rubrica e i nostri ospiti questa volta sono i milanesi Edless, di cui non troppo tempo fa abbiamo recensito il secondo EP, Belotus (trovate qui la recensione). Ascoltando il loro ultimo lavoro ci eravamo fatti una certa idee di quali potessero essere le influenze dietro al sound della band, ma abbiamo trovato decisamente più interessante chiederlo ai diretti interessati, quindi eccoci qui!

Portishead - Tra i padri fondatori del trip hop, sono arrivati a creare un genere unico che disegna atmosfere noir e romantiche: hip hop, jazz, elettronica, dub, dance e chi più ne ha ne metta.
La splendida voce di Beth Gibbons chiude il cerchio sublimemente.
Un disco: Third, l’ultimo album del 2008, è un vero e proprio manifesto di tutto ciò che i Portishead possono creare. Un album mostruoso dopo un silenzio di 10 anni. Inchiniamoci.
Una canzone: The Rip, una cavalcata di synth e batteria con un’interpretazione di Beth Gibbons da pelle d’oca.

Tame Impala - La band che ha riportato gli anni ’70 e la psichedelia al potere.
In realtà c’è molto di più, e Wikipedia ci informa che loro stessi si definiscono come «rock band hypno groove dal continuo fluire psichedelico che enfatizza una melodia onirica».
C’è altro da dire?
Un disco: Currents è un album che ha diviso la critica e i fan della band. Ma noi lo scegliamo comunque, la svolta pop è evidente ma allo stesso tempo incredibilmente efficace e coerente con i precedenti lavori del gruppo.
Una canzone: Va bene siamo scontati, ma The Less I Know The Better è davvero un pezzone e quella linea di basso è divina.

The Cure - I Cure sono una band immensa, personalmente ci sentiamo molto legati al loro periodo dark e malinconico dell’80 - 82, toni scurissimi e quasi claustrofobici.
Non c’è gruppo oggi che non sia stato influenzato, in un modo o nell’altro, dalle liriche e dalle melodie tanto sinistre quanto ammalianti del terzetto di Crawley, Sussex.
Un disco: Pornography, album nichilista per definizione.
Una canzone: One Hundred Years che apre il loro quarto lavoro con l’urlo rabbioso di Smith “It doesn't matter if we all die”. Insomma, così giusto per far capire due cose.

Verdena - Se siete ad un concerto dei Verdena nel Nord Italia state pur certi che almeno uno di noi è li tra la folla.
Andiamo letteralmente pazzi per i tre ragazzi di Albino, capaci di innovarsi talmente tanto durante gli anni che ascoltare oggi i primi album fa sorridere.
Le costanti in tutti i loro lavori sono qualità, genialità e schizofrenia.
Un disco: scegliere un disco è riduttivo ma ci abbiamo provato fermo restando che ogni disco dei Verdena è da ascoltare. Requiem ci ha messo tutti d’accordo, un disco malinconico, oscuro e rabbioso.
Una canzone: Sotto Prescrizione del Dott. Huxley è un viaggio di 10 minuti tra esplosioni di distorsioni e intermezzi psichedelici, il tutto condito da un testo che solo Alberto Ferrari in Italia può scrivere e da una processione di paese in reverse come chiusura.

Pearl Jam - Alive è stata la prima canzone suonata insieme in una sala prove di Porta Romana nel lontano 2010, ben prima della nascita del progetto Edless per come lo portiamo in giro oggi.
I Pearl Jam restano comunque un gruppo a cui siamo davvero legati profondamente e che ha aperto a molti di noi diverse “frontiere” musicali, ha cambiato il modo di vedere determinate cose (anche a livello politico e sociale) e di vivere determinate esperienze personali. Se da un lato, infatti, la loro influenza nella nostra produzione è venuta in parte ad affievolirsi dal punto di vista compositivo e stilistico, dall’altro, le canzoni di Eddie Vedder e C. continuano ad influenzare il nostro modo di intendere e vivere la musica e tutto ciò che ci circonda.
Un disco: Vitalogy, il terzo album della band ne consacra la maturità e li pone al di fuori del “fenomeno passeggero” del Grunge, passaggio che si consoliderà ancor di più con il successivo No Code. Dal punto di vista compositivo, secondo noi, Vitalogy rappresenta uno dei momenti più alti della lirica vedderiana.
Una canzone: Immortality, cantata dal vivo per la prima volta pochi giorni dopo la morte di Kurt Cobain, nonostante Eddie abbia sempre negato il riferimento diretto alla morte del frontman dei Nirvana.
Brano commovente, intenso e di rara bellezza. But there’s a trapdoor in the sun…

Suuns - La band canadese ci piace per l’eleganza ed efficacia con la quale unisce chitarre distorte ed elementi elettronici.
Nella voce di Ben Shemie c’è sempre qualcosa di sensuale e rabbioso al tempo stesso, il tutto si amalgama perfettamente alle spesso oscure atmosfere della band.
Un disco: Images Du Futur
Una canzone: 2020 e il suo videoclip: fissare lo schermo, cliccare su play e godersi l’esperienza.

Radiohead - E va bene, non prendiamoci in giro.
La band di Oxford è sicuramente una delle nostre più evidenti influenze, certo è però che siamo in compagnia probabilmente di tutte le alternative band dal 2000 in poi (che lo ammettano o no).
Per noi dal 1992 i Radiohead hanno dimostrato in ogni disco di saper cambiare, evolvere e innovare con il coraggio di una band che non teme il giudizio dei suoi fans e della critica. Basti pensare anche all’ultimo A Moon Shaped Pool, con la bossanova di Present Tense, gli echi di Sakamoto in Glass eyes, gli archi e le orchestrazioni di Greenwood e della London Contemporary Orchestra, sample, reverse, un piano cristallino e chitarre calde. Insomma, un lavoro di una classe immensa.
Frasi del tipo “i Radiohead dopo Pablo Honey sono inutili, noiosi e deprimenti” consentono di fare una sana e buona pulizia delle (inspiegabili) amicizie che abbiamo su Facebook e similari.
Un disco: come per Verdena e Pearl Jam è davvero difficile citarne uno. Ad ogni modo, scegliamo In Rainbows, uscito nel 2007 con la peculiare modalità d’acquisto “paga quanto vuoi”: primo dei successivi numerosi tentativi di Yorke di dimostrare l’inefficienza delle etichette discografiche e del loro mercato.
C’è molto di più però in questo album ,certamente il lavoro più accessibile e maturo dei Radiohead ed al tempo stesso un’opera “orchestrale” con un sound caldo che pone in perfetto equilibrio il rapporto tra digitale ed analogico.
Una canzone: Nude è il primo picco emotivo del disco. Una canzone intima e calda, magistralmente arrangiata e interpretata (divinamente) da Yorke. Semplicemente magnifica, non c’è da dire molto, bisogna solo ascoltare.

Joy Division -Ci è capitato più volte live di suonare Shadowplay.
Sono tre gli elementi che ci hanno fatto innamorare della band di Manchester: la freddezza, la geometricità e la spettralità.
I Joy Division sono un gruppo letale, il cui fascino ti colpisce forte, penetra le tue difese emozionali e ti costringe a fare i conti con le tue parti più scure e fragili. Le liriche e la voce di Ian Curtis, la chitarra e la ritmica pulsante di Morris e Hook: tanto in armonia tra loro dal punto di vista compositivo quanto disturbanti e malinconici nelle emozioni suscitate.
Un disco: uno non può prescindere dall’altro, dunque, Unknown Pleasures e Closer
Una canzone: Dead Souls eterea, sognante ed enigmatica, soprattutto alla luce del testo di Ian Curtis che se da un lato sembra far riferimento ai suoi demoni personali, dall’altro cita la novella omonima del russo Nicolaj Gogol.

Dinosaur Jr. - La magistrale capacità dei Dinosaur di accostare alla furia cieca della parte strumentale un senso della melodia così fievole e introspettivo, ci ha stregati fin dal primo ascolto.
Se il terzetto di Amherst è considerato tra i padrini del grunge e il grunge stesso è parte fondante delle radici della nostra band, il sillogismo risulta semplice.
Dopo averli visti dal vivo, siamo stati costretti a riconsiderare il concetto di “wall of sound” in maniera radicale, le chitarre assordanti e sovraeffettate di Mascis hanno fatto scuola e hanno cambiato sostanzialmente il nostro modo di intendere le distorsioni e le dinamiche dei brani.
Un disco: You Are Living All Over Me, da considerarsi il vero e proprio esordio della band, manifesto dell’impeto low-fi e canto del cigno anticipato del sound anni ’80.
Una canzone: L’attacco di Little Fury Things… serve altro?

Aphex Twin - Così narra la leggenda (e la rivista The Wire): nel gennaio 1995, Aphex Twin fece il dj alla Knitting Factory di New York sfoderando “ultrasuoni ciclici che fungevano da equivalente uditivo di una strobo settata sulla frequenza di un dialogo" e "vortici di feedback dal suono di un momento esagerato di un assolo degli Spinal Tap prolungato per quindici minuti"e concludendo il tutto “gettando un microfono dentro un frullatore e abbassando una puntina da giradischi su un foglio di carta vetrata”. Niente da aggiungere.
L’ascolto dei suoi lavori, anni fa, ci ha portato ad esplorare la musica elettronica, dalla ambient techno alla IDM, e ad ampliare i nostri “orizzonti” musicali, colpiti dalla poliedricità di Richard David James e dall’immensa bellezza dei suoi suoni.
Un EP: Come to Daddy del 1997 con la title–track nata per caso da un riff death metal suonato da James mentre girava annoiato per casa ed il relativo terrificante video diretto da Chris Cunningham (regista anche del video di It’s only you dei Portishead). Menzione particolare poi per le ipnotiche, schizofreniche e folli “biglie di acciaio” di Bucephalus Bouncing Ball
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