Arrival
- Roberto Checchi
- Jan 29, 2017
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Dopo aver trattato la tematica del cartello messicano della droga in Sicario, il regista canadese Denis Villeneuve abbandona gli stilemi del thriller poliziesco per adottare quelli della fantascienza con Arrival, adattamento del racconto Storia della tua vita di Ted Chiang. Il film, pur presentando un intreccio incentrato sull’improvviso sbarco di astronavi aliene sulla Terra, riesce a costruire un immaginario incredibilmente verosimile e realistico che si dimostra realmente efficace nel mantenere intatta la sospensione dell’incredulità dello spettatore sino alla fine, complice anche il sapiente intarsio narrativo assemblato dallo sceneggiatore Eric Heisserer.
Non è solo la trama tuttavia a risultare determinante per la comprensione degli aspetti più introspettivi e filosofici che Villeneuve vuole evocare con Arrival, ma lo è anche il connubio tra la suggestiva colonna sonora di Jóhann Jóhannson, la composizione e l’angolazione delle inquadrature, e la fotografia: una commistione di splendidi incastri e contrasti, come ad esempio l’alternanza tra i campi lunghissimi che ci mostrano la nave aliena sbarcata nel Montana e tra i primi piani della linguista Louise Banks (Amy Adams) e lo scienziato Ian Donnelly (Jeremy Renner) alle prese con il loro primo contatto con la razza degli eptapodi, o come il frequente passaggio da riprese statiche ad altre più dinamiche e dalla vividezza dell’illuminazione degli esterni alle atmosfere più cupe degli interni.
Per quanto riguarda l’opera di Jóhannson, il compositore islandese ha lavorato con l’ensemble Theatre of Voices con l’obiettivo di utilizzare la voce come uno degli strumenti principali per la realizzazione sonora di Arrival, delineando in questo modo un tappeto di suoni che non è onnipresente lungo tutta la durata del film, come spesso accade nella maggior parte delle produzioni contemporanee, ma anzi lascia uno spazio significativo anche al silenzio. Il silenzio diventa così una componente fondamentale della pellicola, un silenzio capace di generare sentimenti di inquietudine pervasivi che si inseriscono nella relazione fondante del film, quella tra gli esseri umani e gli eptapodi.
La figura che permette a questa relazione di realizzarsi è quella della protagonista di Arrival, la già citata Louise Banks, che, grazie alle sue conoscenze linguistiche e comunicative, riesce a entrare progressivamente in contatto con gli eptapodi e a capirne linguaggio e motivazioni. Oltre alla bravura di Amy Adams, capace di dare un grande spessore interpretativo al suo personaggio, è rilevante notare come Villeneuve cerchi di determinare sin da subito l’importanza di Louise: prima attraverso una breve sequenza introduttiva che ci mostra un grave lutto subito dalla protagonista, e in seguito, al momento della notizia dell’arrivo degli eptapodi, attraverso un lungo primo piano sul suo volto, preferito al mostrare immediatamente i “gusci”, le astronavi aliene.
Lungi dall’essere considerato solamente un prodotto di genere e di intrattenimento, Arrival vuole essere prima di tutto una riflessione sull’alterità. L’Altro, il diverso, emerge dalla pellicola come ciò che possiamo cogliere ma che allo stesso tempo rifiutiamo di comprendere, è ciò che ci fa paura e che vogliamo rigettare, è quell’elemento che possiamo interpretare ma che ci ostiniamo a pensare attraverso ciò che lo differenzia da noi. Arrival dipinge così un quadro angosciante della contemporaneità, ma allo stesso tempo sembra suggerire anche una possibile soluzione all’odio e all’insofferenza: ripartire dalle somiglianze. Daniele Sacchi
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