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Intervista ai Soviet Soviet

  • Roberto Checchi
  • Feb 1, 2017
  • 3 min read

La loro Endless Beauty è una delle venti canzoni dell'anno appena trascorso per noi di Indiependent Reviews. Due parole con i Soviet Soviet.

[if !supportLists][endif]Ciao ragazzi, innanzitutto come state? Come procede il tour? Vi è capitata qualche bella storia da raccontarci?

Ciao, stiamo bene grazie. Il tour sta andando molto bene, abbiamo fatto la prima parte in Italia, due date in Russia e fra poco partiamo per il tour Europeo.

[if !supportLists]La vostra esperienza racconta di una "gavetta" onorata suonando tantissimo in giro, in Italia e all'estero. Quanto conta per voi la dimensione performativa nel vostro lavoro, il rapporto diretto col pubblico? Secondo voi andare a un concerto è ancora un'occasione sociale? Ci si va ancora per conoscere musica nuova e condividerla con qualcuno, o solo per cantare le canzoni del proprio gruppo preferito, che tanto, quello che "mi interessa" e basta me lo ascolto su Internet?

I concerti sono una parte fondamentale del nostro lavoro e il contatto diretto col pubblico è importantissimo. Andare ai concerti è un’occasione sociale, non potrebbe essere altrimenti. È una forma d’arte e senza l’esperienza in cui la vivi perdi una grandissima fetta di senso. È come studiare le opere di un pittore e poi non andare a vederle al museo. La fruizione della musica rimarrà sempre legata alla dimensione live in cui si vive, prende forme e si condivide con persone e pubblico.

[if !supportLists]Quanto può influire, su questa situazione, la penuria di festival, eventi che guardino a realtà indipendenti, a metà insomma tra Sanremo e la festa della birra di paese? Questa penuria è dovuta alla scarsità di pubblico e quindi di fondi o a una mancanza di curiosità, di voglia di promuovere? Insomma, secondo voi, è nato prima l'uovo o la gallina?

Penso sia prettamente una questione culturale legata all’Italia. Istituzioni come Sanremo, i festival immensi e le feste di paese esisteranno sempre. Come hai detto tu, manca il passaggio intermedio, quel collegamento legato all’underground. La curiosità c’è, probabilmente anche i fondi ma è proprio un gap culturale che sicuramente col tempo cambierà.

A proposito di concerti, a Marzo verrete ospitati da KEXP, emittente radio di Seattle, famosa per i live che propone. Cosa si prova ad affrontare una situazione così “di culto”? (Tra l'altro, se non sbagliamo, in Italia, solo i vostri concittadini Be Forest hanno suonato lì. Chiederete loro qualche consiglio?)

I Be Forest sono nostri amici e già avevamo avuto l’occasione di parlarci in occasione del loro tour americano. Siamo molto contenti di avere la possibilità di suonare al KEXP.

Ancora più che nel disco precedente, in Endless il vostro suono è, come lo avete definito voi, “grasso”. Ci sono chitarre ancora più dense, un grande uso di riverberi ed effetti. In generale è un suono che tende a essere avvolgente, molto pervasivo. Come si è sviluppata la vostra ricerca sonora in questo lavoro? Siete partiti con un'idea precisa dell'impasto che volevate tirare fuori?

L’idea di suono che abbiamo reso in Endless è dovuto ad una crescita personale. Sono passati tre anni da Fate e abbiamo continuato la nostra ricerca del suono. Sapevamo cosa volevamo e abbiamo provato a renderlo al meglio.

[if !supportLists]Le vostre sonorità rimandano a una tradizione ben precisa, quella che, seguendo una definizione preincartata, viene definita post-punk/new/wave. Come vi ponete nei confronti dei vostri riferimenti? Esiste un briciolo di nostalgia nella vostra “carriera” da ascoltatori?

Le definizioni di genere ci sono state date dai giornalisti. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme non avevamo idea di che musica poi avremo fatto. è stato un processo istintivo e naturale che ci ha portato a suonare questo genere. Abbiamo migliaia di influenze diverse e più disparate.

[if !supportLists][endif]Dopo l'ondata indie degli anni zero, quell'attitudine che attribuiamo al "rock", alla sacra triade chitarra-basso-batteria, ha perso molto del suo impatto. Sembra quasi che il rock sia un affare di nicchia, da nostalgici, senza ormai molto da dire. Altri linguaggi hanno acquisito importanza, quella capacità catartica di raccontare, di venire “parlati” da più gente possibile. Penso all'hip hop o, restando a noi, a un pop "conservatore" e intimista. Voi vi sentite di nicchia, conservatori?

Sinceramente non ci siamo mai posti il problema o la domanda. Ci piace suonare la nostra musica a prescindere da quello che “va” in Italia. Come ogni genere musicale è legato a dei cicli e ogni tanto si ripropongo diversi generi e stili. La viviamo come una cosa normale e naturale.

[if !supportLists][endif]Per finire, cosa vi aspettate dal futuro? Quali sono le intenzioni a proposito del vostro lavoro? Continuerete a sfoderare riff affilatissimi dei vostri, o avete in mente qualche sorpresa?

Continueremo a suonare e a portare il nostro lavoro in giro per l’Italia e fuori.

Abbiamo in progetto diversi tour. Fernando Giaciniti

 
 
 

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