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La battaglia di Hacksaw Ridge

  • Roberto Checchi
  • Feb 20, 2017
  • 2 min read

Di film incentrati sulla guerra molti se ne sono fatti, molti se ne fanno e molti se ne faranno. Questo perché l’uomo sembra non possa fare a meno della violenza, degli scontri e delle storie che li raccontano. Bisogna dire che La battaglia di Hacksaw Ridge ci mostra un aspetto della guerra diverso, scegliendo come protagonista un uomo che, malgrado si trovi sull’isola di Okinawa (che negli anni del secondo conflitto mondiale era come dire l’inferno), si rifiuta di uccidere.

Desmond Doss (Andrew Garfield) è un ragazzo che ripudia l’uso delle armi e che decide di servire la sua patria come soccorritore militare, recandosi con i suoi compagni in prima linea avendo come sola protezione la propria fede. La vicenda di questo ragazzo, un giovane della Virginia, è tratta da una storia vera di cui già aveva trattato nel 2004 il documentario The conscientious objector.

Il progetto affidato alla guida di Mel Gibson, che torna dietro la macchina da presa dopo dieci anni, si dimostra valido ma non eccelso. Le carenze sono tutte concentrate nella prima parte del film, quella che mostra il nascere della storia d’amore tra il protagonista e la sua futura moglie. È un tripudio di scene sdolcinate che sembrano essere ibridazione tra un cinema di altri tempi e un dramma romantico mal scritto.

Fortunatamente il film riesce, dopo un’abbondante mezz’ora, a trovare la giusta direzione. Le scene di battaglia mostrano, senza alcun riguardo verso lo spettatore più facilmente impressionabile, la crudeltà dello scontro e la paura degli uomini. Il pubblico si sente immerso in modo assoluto nella concitazione del campo di battaglia.

Interessante notare come il personaggio interpretato da Vince Vaughn strizzi l’occhio all’iconico sergente Hartman di Full metal jacket; così facendo della macrosequenza dell’addestramento un chiaro omaggio al cinema di Kubrick e a uno dei film più rappresentativi del genere.

Mel Gibson ha modo di mettere l’accento su un tema a lui molto caro: quello religioso. Molti sono i riferimenti alla divinità, al suo volere e all’obbedienza che un uomo retto deve prestare ai suoi insegnamenti. È solo con l’appoggio di Dio che Doss riesce nella sua mirabile impresa, tanto da poter affermare che la fede è il propulsore di tutta la storia.

La pellicola concorre per la vittoria di ben sei statuette, tra le quali anche la più prestigiosa: quella di miglior film. La storia è di quelle che certamente piace molto al pubblico americano (o per lo meno alla maggioranza di questo), che come sappiamo ama sentirsi raccontare le imprese degli eroi che hanno reso grandi gli Stati Uniti d’America. Matteo Minisini

 
 
 

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