top of page
Search

Halfalib - Malamocco

  • Roberto Checchi
  • Mar 2, 2017
  • 2 min read

Malamocco è l'album di esordio di Marco Giudici, bassista degli Any Other, alla prima prova solista col nome Halfalib. In realtà, a dargli manforte ci pensano i suoi compagni di band Adele Nigro (sax) e Niccolò Fornabaio (batteria). E' un disco di un respiro impressionante, dalle molte facce ma con un'identità precisa: la prima canzone Love Letter To Science, ne è un esempio: inizia da un tappeto acido di synth in crescendo su cui si innesta un sax già nostalgico, morriconiano, insieme a degli archi e un piano che scandisce le battute, in una commistione tra sacro e profano, analogico e digitale, caldo e freddo. La vertigine si interrompe di colpo per lasciare spazio a una ballata psichedelica che poggia, di nuovo, su sax, piano e inserti di elettronica liquida. Il primo singolo, Arythmie Du Soleil, si posiziona su territori pop un po' psichedelico (Mercury Rev, Spacemen 3, Sparklehorse) un po' jazzy, con atmosfere da club glamour che rimandano al Destroyer di Kaputt, nell'uso del piano e del sax. Ancora, una canzone-ponte tra atmosfere e sonorità diverse, ma dall'identità riconoscibile.

Il discorso sul pop psichedelico viene ripreso in pezzi come Liebe Fénix II, Instant o Halfalib (Umore Temperato), che partono dal canone Sgt. Pepper-iano per disseminarlo di intermezzi ambient, indimenticabili linee di sax, musica concreta.

Il Troppo Moltiplicarsi Senza Continuarsi Conduce A potrebbe essere invece la main theme di un poliziottesco di Umberto Lenzi, solo ambientato a Bristol o a Londra a metà anni novanta: ancora una volta, un riff acidissimo di sintetizzatore mitigato (o impennato?) da piano e sax italo-lounge. Il finale è invece affidato a un intervallo di pianoforte scandito da battimani minimalista e archetipico. Un momento bellissimo. Altra atmosfera cinematografica in Diminuirsi, che inizia con un'atmosfera thrilling stile loggia nera di Twin Peaks. Suoni che sembrano in reverse, tastiere manipolate, voci spettrali che fluttuano sopra, ancora, accordi mesti ed essenziali di piano.

Questa capacità di attraversare i generi, di cambiare registro, si fa concreta nella canzone di chiusura, Human After Odd, che cambia forma pur restando coerente.

E' un disco che si posiziona sulle fratture, sulle soglie di linguaggi musicali disparati, e che accoglie queste discontinuità come cifra caratteristica. Ma parlare di discontinuità non è neanche giusto, in quanto queste otto canzoni hanno una coerenza rara; sarebbe più veritiero parlare di moto armonico nel flusso, di elasticità sulle supefici scabre, un acrobatismo consapevole, sicuro. poggiato su elementi ben riconoscibili (piano, sax e il loro intreccio con i synth, e una grande facilità nella scrittura delle canzoni). Un nuovo approccio alla canzone pop. Fernando Giacinti

 
 
 

Comments


Follow Us
Post Collegati
Post Recenti

© 2014 by Indiependent Reviews. 

 

bottom of page