Les Enfants Terribles: Tra Star system e religione in Ave Cesare!
- Roberto Checchi
- Apr 25, 2017
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Per poter capire cosa Ave Cesare significhi per i fratelli Coen, bisogna prima conoscere un minimo della loro storia. Nati nella metà degli anni cinquanta in una famiglia ebraica di intellettuali del Midwest, hanno vissuto la loro adolescenza in un periodo estremamente propizio per una fruizione massiva e onnivora in campo cinematografico. Hanno avuto accesso all'immenso archivio filmico prodotto negli anni della Hollywood classica e hanno vissuto durante il college la rielaborazione di forme, temi e motivi che avviene tra gli anni sessanta e settanta ad opera dei registi della New Hollywood. Ave Cesare! nasce dall'incontro di questi due elementi: Hollywood classica e rielaborazione. Quest’ultima risulta essere un tema ricorrente nelle opere dei Coen, ma non è mai così evidente come in questa pellicola; se lavori come Non è un paese per vecchi o Blood Simple giocano con i topoi del cinema western e noir, mantenendo però una coesione nella trama, in quest’opera si passa repentinamente da una tipologia di film all’altra grazie a degli espedienti diegetici. Ave Cesare! al contrario delle altre opere dei Coen ha infatti una natura episodica, in cui ogni episodio è legato a diversi attori e a diverse produzioni della Capitol film, ognuna di un genere diverso, e l’unico filo d’unione tra di esse è rappresentato dal protagonista interpretato da Josh Brolin. La varietà di situazioni permette di affrontare diversi aspetti del sistema cinematografico di quegli anni, dalla produzione di film, alla promozione dei divi attraverso gossip e incontri romantici programmati a tavolino dai produttori.
Ambientato nel 1951, il film racconta ventisei ore della vita di Eddie Mannix (Josh Brolin), produttore e risolutore di problemi della Capitol Pictures di Nick Skank, una casa di produzione sullo stile della MGM (non a caso il personaggio condivide il nome con un fixer realmente esistito che lavorò quarant’anni proprio per la MGM). L’episodio che fa da cardine alla storia si sviluppa intorno a Baird Witlock (George Clooney) un tonto, un ingenuo credulone, ma anche la più importante star nella scuderia della Capitol Pictures. Impegnato a girare un kolossal biblico ispirato a Ben Hur, in Ave Cesare! un racconto del Cristo, il divo diventerà l’oggetto d’interesse di un gruppo di sceneggiatori comunisti che vedranno nel suo rapimento un mezzo per estorcere alla casa di produzione un’ingente quantità di denaro da utilizzare nella lotta al capitalismo, riuscendo inoltre a convertire lo stesso Witlock alla loro causa. Conversione che risulta un elemento leggermente anacronistico dato che, indipendentemente dalla sua ingenuità, difficilmente una star del suo calibro si sarebbe dichiarata apertamente comunista nel 1951, a soli tre anni di distanza dal rilascio del Waldorf Statement, in cui le case di produzione Hollywoodiane si impegnavano a non assumere nessun membro conosciuto del partito comunista; elemento che tuttavia può essere giustificato dal tono generale di commedia dell’opera. Intorno all’episodio cardine si sviluppano le altre storie che permettono ai Coen di esplorare altri generi classici e altri aspetti dello star system. Incontriamo quindi Hobbie Doyle (Alden Ehrenreich) cantante, acrobata e attore di western: incaricato dallo studio di rinnovare la sua immagine, verrà ingaggiato per una sofisticata commedia da camera diretta dall’europeo Laurence Laurentz (Ralph Fiennes). Il cambio di genere si rivelerà più difficile del previsto per il giovane texano, la sua recitazione marmorea e artificiosa, insieme all’accento del sud, mal si sposano con le necessità di Laurentz e il confronto tra i due darà luogo ad uno dei momenti più comici della pellicola. L’ultimo genere ad essere parodiato dal film è quello del musical: compaiono ben due numeri musicali, un tip tap marinaresco sullo stile di Gene Kelly eseguito da Channing Tatum e un numero acquatico sullo stile dei film di Esther Williams di Scarlett Johansson, che interpreta una star libertina in attesa di un bambino. Considerando l'epoca e lo scandalo per lo studio di una madre senza marito, toccherà a Mennix gestire la situazione, spingendola ad incontrare Joe Silverman (Jonah Hill), un prestanome di professione che dovrebbe adottarne il bambino, ma che finirà per sposarla. Le capacità di gestione di Mennix non sono chiare solo allo studio: anche il governo nella forma dell’agenzia Loaked, una sussidiaria dell’aviazione, vorrebbe assumere il fixer per un progetto che li porterebbe in vantaggio rispetto ai russi nella guerra fredda, lo sviluppo della bomba ad idrogeno. Quest’ultimo segmento non è particolarmente approfondito; Mannix infatti liquiderà l’agenzia preferendo il suo lavoro in campo cinematografico dopo due soli colloqui. La serietà del lavoro offertogli per l’aviazione contrasta con quella che sembrerebbe essere la frivolezza del lavoro in campo cinematografico e lo stesso protagonista è divorato dai dubbi in merito. “Fare qualcosa di facile o fare qualcosa di giusto?” chiede Mennix al suo confessore, dove per qualcosa di giusto non intende aiutare il proprio paese nello sviluppo dell’arma atomica, che per lui sarebbe la via facile; il giusto per Mennix (e per i Coen) è gestire la vita delle star, produrre film, lavorare nel cinema. Questa scelta carica di valore il suo lavoro di produttore e di conseguenza il cinema in generale, considerato non una frivola arte produttrice di illusioni partendo da personaggi meschini, ma un mezzo per un’elevazione spirituale, un lavoro moralmente superiore allo sviluppo di un’arma.
Esiste un costante gioco di rimandi tra il film nel film dei Coen e Ave Cesare! della Capitol. Partendo dal nome stesso delle opere possiamo riconoscere diversi tratti che li legano direttamente in un discorso metacinematografico. Si spiega in questo senso il voice over che descrive parimenti le scene di vita del centurione in terra Romana e quelle del fixer nella città degli angeli, senza fare una distinzione tra la vita e il film o ancora gli stacchi che alternano senza interruzione le scene del film con quelle del kolossal in produzione. Lo stesso Mennix, quando parla della lavorazione del film, sembra parlare dell’opera di cui è protagonista, ne è un esempio la tavola rotonda con i rappresentanti delle varie religioni, in cui descrive la presenza del Cristo in Ave Cesare!: “…si vedrà solo fugacemente e con estrema delicatezza”. Descrizione che sembra in parte preannunciare l’unica scena in cui compare l’attore che interpreta Gesù, inquadrato di sfuggita e di cui vediamo solamente i piedi. Nonostante la brevità dell’inquadratura, i Coen riusciranno a renderla un’apparizione pungente ed ironica piuttosto che delicata, con un addetto ai lavori che chiede allo sfortunato interprete se lui sia “comparsa o protagonista”, sottolineando l’ambiguità della figura per la religione Ebraica.
Anche la scelta degli attori sembra aderire ad uno schema metacinematografico, associando i propri bizzarri personaggi a volti noti, con tutto il carico di stereotipia e aspettative che essi si trascinano, significa per i Coen poter attivare un gioco intertestuale e mettersi immediatamente in contatto con quell’insieme di fattori che caratterizzano l’industria culturale nel suo complesso per poterla meglio spiazzare e metterne a nudo aporie e contraddizioni. Ed è così che George Clooney diventa Baird Witlock, grande star che interpreta una grande star. In un richiamo alle precedenti opere in collaborazione con i due registi (Fratello, dove sei?, Prima ti sposo poi ti rovino e Burn after reading) il personaggio di Witlock sembra infatti condividere una certa goffaggine e soprattutto la stupidità con i personaggi dei film precedenti (definiti dallo stesso Clooney la sua “trilogia dello scemo”), stupidità che lo porterà ad allinearsi con le idee politiche dei suoi rapitori. Nel confronto finale tra Mennix e Witlock nello studio del primo, il centurione convertito arriverà ad attaccare la Capitol Picture e l’industria cinematografica, definendola “uno strumento del capitalismo” “asservita al sistema”. Insulti che sembrerebbero non scalfire la stoica pazienza del produttore, se non fosse per l’affermazione “possiamo anche raccontarci che stiamo creando qualcosa che ha un valore artistico, spirituale…”. Da quel momento la situazione cambia drasticamente, i Coen non possono accettare che il valore del cinema sia messo in discussione: come loro portavoce Mennix si alza dalla sedia e con due poderosi ceffoni zittisce l’altro, intimandogli di tornare al film, perché il film ha un valore e un attore (come ogni operatore nel campo cinematografico) ha valore soltanto in funzione all’opera che sta creando. Scarlett Johansson segna una seconda collaborazione con i Coen. La sua fisionomia e il numero musicale con cui ci viene mostrata sembrerebbero presentarci una star aggraziata e delicata, sulla falsa riga il suo personaggio in L’uomo che non c’era, ed è quando la si sente parlare che ci rendiamo conto della vera natura del suo personaggio. Volgare e prepotente, l’effetto crea uno straniamento nel pubblico che, conoscendo l’attrice, non può che spingere verso senso del comico. Dopo Step Up! e Magic Mike, Channing Tatum viene selezionato nuovamente per il ruolo di un ballerino, Burt Gurney. Questa volta deve cimentarsi in un tip tap che per situazione e costumi ricorda il film Due marinai e una ragazza con Gene Kelly, un divertente numero musicale che nasconde un sottotesto sessualmente ambiguo, che gioca su di uno stereotipo marinaresco, ma che potrebbe riferirsi anche alla natura stessa del personaggio. Burt è segretamente il capo della cellula comunista che vuole destabilizzare lo studio. Viene definito nel finale del film il nuovo protégé di Laurence Laurentz, ruolo che gli consentirà di ottenere informazioni su un presunto rapporto omosessuale avvenuto tra lo stesso Laurentz e Witlock; informazione che userà a favore della causa, sia per ricattare Baird, sia per diffamare la star più importante dello studio con la stampa. Tra le varie eccellenti prove attoriali una delle migliori è senza dubbio quella del giovane Alden Ehrenreich che interpreta un poco espressivo attore texano, con un marcato accento del sud: il suo è il personaggio che permette di esplorare maggiormente l’aspetto di “creazione delle star” che stava dietro ai divi dello star system. Lo studio vuole inserirlo in un nuovo film, una commedia romantica che ruota attorno ad un tradimento amoroso, per poter sfruttare la sua immagine ha però bisogno di rinnovarla, per questo gli organizzerà un’uscita con una delle loro starlette. È protagonista di alcune delle scene più divertenti del film, oltre ad essere fondamentale per il ritrovamento di Barid Witlock: sarà infatti lui a riconoscere la valigetta contenente il riscatto che lo porterà a trovare la villa in cui il divo è rinchiuso.
Il rapimento di quest’ultimo (il terzo rapimento per i Coen dopo Arizona Junior e Fargo, se non si considera il finto rapimento ne Il grande Lebowski) viene risolto per un puro caso. Il destino in questa pellicola, come nella loro filmografia, è uno degli attori principali, capace di ribaltare la situazione a favore o contro i personaggi. È per un caso se Hobbie Doyle vede per la prima volta la valigia che lo porterà a scoprire il complotto, ed è ancora per un caso se gli stessi comunisti non riusciranno a conservare la refurtiva, che cadrà in mare perdendosi nei flutti.
Ave Cesare! è stato uno scarso successo di critica e botteghino, definito una delusione illustre, sciatto, una “insalata poco appetibile” ed effettivamente il film manca del cinismo e del mordente per cui ci si ricorda dei grandi film dei Coen. Forse la colpa è da imputare alla natura episodica di questa pellicola, forse i due registi riescono ad esprimersi meglio con storie più omogenee. Una delle scene più criticate è la prima riunione tra Witlock e gli sceneggiatori comunisti, definita poco interessante, se non addirittura stupida. Questa riunione funge però da piatto della bilancia per l’altra tavola rotonda del film, quella tra i rappresentanti di varie religioni indetta da Mennix per assicurarsi che il film non offenda nessuno: seduti attorno ad un tavolo un rabbino, un pastore, un prete cattolico e uno protestante disquisiscono con Mennix sulla dualità delle figure di Cristo e di Dio, unica entità divisa tra padre e figlio. Il siparietto tra i quattro è uno dei momenti più divertenti della pellicola, un dialogo brillante e una satira religiosa tipica del lavoro dei Coen, che punge in particolare la figura del rabbino che, dopo essersi lamentato per tutta la riunione delle altre religioni, nel momento in cui deve esprimere il proprio parere si limiterà ad un fastidioso “nessuna opinione”. L’assemblea comunista arriva più avanti nel film rispetto al dibattito religioso, nel momento del suo risveglio Baird Witlock viene accolto in una stanza in cui si sono riuniti i suoi rapitori. Anche in questo caso il dialogo tra di loro verte sul tema della divisione nell’unità: questa volta ad essere doppio è l’uomo, diviso tra uomo comune, il corpo politico e i padroni, i possessori dei mezzi di produzione. Due sequenze che si controbilanciano, una decisamente più divertente e un'altra meno accattivante, ma sicuramente non “stupida” e fondamentale per l’economia finale della pellicola.
Il film riesce a dialogare su diversi piani. Scavando oltre alla commedia superficiale non troviamo solo un omaggio allo star system e alle sue stelle, non è solo una dedica al cinema classico, in esso possiamo rintracciare anche un discorso religioso di fondo, un’altra delle costanti della vita e della cinematografia dei due cineasti. In Ave Cesare! questo discorso religioso è evidente fin dalle primissime inquadrature: in una chiesa poco illuminata, accompagnato da un coro ecclesiastico e dal rombo del tuono, un crocifisso sospeso sopra ad un altare sfuma in un primo piano del Cristo insanguinato, che a sua volta passa, con una dissolvenza incrociata, ad un crocifisso tascabile. È così che incontriamo Eddie Mennix per la prima volta, scarsamente illuminato in una situazione intima e privata all’interno di un confessionale. Un dettaglio del suo orologio da polso e la sua battuta stabiliscono che sono passate ventiquattro ore dalla sua ultima confessione, i Coen ci permettono così di associare la credenza e la pratica religiosa alla sua routine quotidiana di uomo dello spettacolo. Queste immagini costituiscono un climax discendente, dalla decorazione liturgica all’oggetto di uso quotidiano. Poco più avanti nel film troviamo un’altra sequenza significativa se messa in relazione a questa. Inizia con l’inquadratura a tutto schermo di un mosaico raffigurante l’aquila Romana, passa poi con un climax ascendente, ad un’inquadratura dall’alto della marcia militare di un esercito di legionari sulla via Francigena di ritorno a Roma. Quando sembra che l’ambientazione e il tempo del film siano cambiati senza preavviso, passando da una piovosa e buia Los Angeles alla luminosa Roma del I secolo d.C., uno zoom out ci rivela che in realtà la scena che stiamo vedendo è un film dentro al film. Troviamo Eddie Mannix seduto in una sala proiezioni intento a guardare i giornalieri di Ave Cesare!. È nuovamente una situazione intima, scarsamente illuminata che richiama gli elementi visivi della precedentemente scena nel confessionale. La sequenza continua con la proiezione, presentando il personaggio di Baird Witlock e passando ad un’apparizione divina, interrompendosi su un cartello che recita “Divine presence to be shot”. I Coen, accostando queste scene, creano un parallelismo tra la chiesa e la sala cinematografica, tra Dio e il Cinema. La sala cinematografica diventa come il confessionale, un luogo di cerimonia in cui i fedeli possono recarsi per trovare risposte ai loro dubbi. Visto in quest’ottica risulta significativa anche la sequenza finale, in cui vediamo Mannix camminare in un esterno dello studio. Dopo l’ennesima confessione in chiesa ha capito dalle parole del prete che il suo lavoro ha un significato più alto delle logiche di mercato, che lui non è un semplice cantastorie. Dio stesso vuole che lui faccia questo lavoro. Lo vediamo camminare fiero e felice, non ha più dubbi, la telecamera si sposta dietro di lui e la sua assistente, con un movimento verso l’alto inquadra il cielo e le colline di Hollywood, mentre la voce narrante afferma che “le storie iniziano e le storie finiscono, e così è stato”. Ma la storia di Eddie Mannix non finirà mai, perché "il suo racconto è scritto con la luce eterna”. Anzitutto questo voice over ribadisce che anche la storia di Mennix non è altro che cinema, ma successivamente si spinge oltre. La parte finale sembra una dichiarazione di intenti dei due fratelli, la storia di Eddie è scritta con la luce eterna (“written in light everlasting”) ed è letteralmente scritta con la luce, la luce del cinema, luce che impressiona la pellicola (o un meno poetico chip). Sulle parole del narratore, un coro accompagna l’inquadratura che riprende il cielo, una luce abbagliante cancella ogni cosa e da uno schermo bianco compaiono i titoli di coda e i nomi dei registi. Tutta questa sequenza finale crea un parallelismo tra luce divina e luce cinematografica e i Coen vi imprimono i loro nomi, quasi a volersi dichiarare fedeli del dio Cinema.
Non è la prima volta che i due cineasti del Minnesota raccontano il processo di produzione dei film nella Hollywood classica. Un tema analogo era già stato affrontato nel film del 1991 Burton Fink – è successo ad Hollywood!. Nonostante la differenza dei toni con cui è raccontata, quest’opera condivide diversi elementi con Ave Cesare! oltre all’ambientazione spaziale e temporale. Il nome della casa di produzione per cui lavorano Fink e Menning è Capitol Pictures, il nome dell’attore che dovrebbe interpretare il wrestler nel film su cui Burton sta lavorando è Wallace Beery, che diventa in Cesare il nome di una sala conferenze. La più grande similitudine tra i due film è che entrambi raccontano di sceneggiatori che cercano di promuovere ideologie di sinistra attraverso il cinema, ideologie che appaiono distorte e ipocrite in entrambi i film. Burton vorrebbe raccontare la storia dell’uomo comune, mentre i rapitori vorrebbero accelerare la caduta del capitalismo. Nel primo caso lo sceneggiatore si rivela così preso dalle sue teorie, dalla sua poetica e dalla sua arroganza da essersi allontanato dal soggetto che vuole descrivere, non riuscendo ad ascoltarlo. Nel secondo caso gli sceneggiatori sembrerebbero mossi maggiormente da un sentimento di rivalsa per il modo in cui lo star system li ignora, piuttosto che dalle logiche delle ideologie Marxiste. Ne è una prova il fatto che questi paladini dei diritti dei lavoratori non si facciano mancare i lussi di una casa vista mare, donna delle pulizie compresa. In entrambi i casi abbiamo dunque degli scrittori incapaci di rappresentare il soggetto di cui vantano conoscenza e proprio per queste mancanze verranno puniti: Burton troverà la sua fine a causa della sua incapacità di ascoltare l’uomo della porta accanto (letteralmente), mentre i comunisti perderanno i soldi del riscatto e verranno arrestati. Nonostante le similitudini, le due opere presentano dei finali e dei toni opposti: se Burton Fink ha un finale disilluso e negativo con lo scrittore intrappolato dallo studio e incapace di continuare la sua carriera, quello di Ave Cesare è un finale luminoso, che guarda con positività al cinema Hollywoodiano di ieri e di oggi.
Ave cesare! non è certamente una delle opere maggiori dei Coen: difficilmente sarebbe riuscito a trovare il riscontro del grande pubblico, dato che si rivolge principalmente agli addetti ai lavori e potrebbe non essere apprezzato da chi non conosce un minimo di storia del cinema americano. Anche se la critica internazionale ci ha mostrato come, anche chi questa storia la conosce, potrebbe pensarla allo stesso modo. Un’opera di cui è necessario un approfondimento prima di poterla apprezzare, o quantomeno una visione che tenga conto dei lavori precedenti dei due registi.
Ritengo che questa sia una pellicola fondamentale per capire la poetica di Joel e Ethan Coen, un film che offre una chiave di lettura su tutta la loro filmografia, permettendoci di far luce su alcuni elementi che in altre pellicole sono appena accennati. Nonostante tutto, il film ha dei momenti assolutamente indimenticabili, come il sentito discorso finale di Baird Witlock, passionale, capace di coinvolgere emozionalmente l’intera troupe che assiste alle riprese, tanto trascinante quanto esilarante nel momento in cui la dimenticanza di una battuta ne svela la natura artefatta e cinematografica: una dichiarazione d’amore al mondo del cinema, colorato circo popolato da bizzarri personaggi, un mondo difficile ma capace di affascinare, intrattenere e fornire risposte, un mondo che, proprio come questo film, può essere contemporaneamente frivolo e profondo.
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