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Gummo: frammenti di un discorso cinematografico

  • Roberto Checchi
  • May 8, 2017
  • 5 min read

Che il montaggio possa avere una portata concettuale rilevante tanto che, al pari della sceneggiatura, possa essere posto a sostegno del messaggio che il realizzatore della pellicola voleva veicolare è una consapevolezza vecchia quasi quanto il cinema: nella semplice giustapposizione di inquadrature si trasmette un’atmosfera ed una forma percettiva specifica. Due esempi degli ultimi decenni possono aiutare a contestualizzare l’analisi formale di Gummo: se per Memento (2000) il montaggio ci immergeva fra le percezioni di un uomo affetto da attacchi di amnesia anterograda e in Moebius (2013) comunicava gli effetti della dipendenza e l'idea della ricorsività delle azioni in genere, il montaggio del primo lungometraggio di Harmony Korine dà allo spettatore un'idea della A.D.D. (sindrome da deficit di attenzione e iperattività). In questo senso sono film che possono essere perfettamente resi con il termine "straniante". Scorrendo i sintomi di questo disturbo del comportamento piuttosto diffuso ciò risulta ancora più convincente; Il primo ad esserne affetto, in Gummo, pare proprio il regista – il quale curiosamente in molte scene si ispira direttamente ad aneddoti della propria infanzia - che imbastisce un film frammentato e scostante. Eccone qualcuno: - l'essere facilmente distratti, perdere i dettagli e spesso passare da un'attività all'altra; - l'essere annoiato con un compito, dopo pochi minuti, a meno che si stia facendo qualcosa di divertente; - sognare ad occhi aperti, facilmente andare in confusione e muoversi lentamente; - avere difficoltà a svolgere compiti o attività tranquille; - proferire commenti inappropriati, mostrando le proprie emozioni senza inibizioni, e agire senza tener conto delle conseguenze. Per come è montato il film e per i suoi contenuti, ci si può rendere facilmente conto della ossessività con cui questo tipo di atteggiamento è presentato qui.

È un film spiacevole: l'estetica degradante della pellicola a tratti può disgustare. Gummo ascrive sotto di sé tutte le forme di reietti della società, tutte: prostitute, uomini di colore, molestatori, teppisti, transgenders, omosessuali (uomini e donne), portatori di handicap (con ritardi mentali, sordomuti, e persone affette da deformità), pedofili, tossicodipendenti (di colle, nello specifico), uomini e donne affette dal cancro, alcolizzati e satanisti oltre a, naturalmente, molti individui che soffrono chiaramente di A.D.D. Ogni lato controverso o marginale della società sembra essersi dato appuntamento in questa pellicola per essere messo sotto i riflettori dal suo regista. Le sequenze si susseguono sempre più spiacevoli e degradanti ed è naturale (e sintomo dell’efficacia della pellicola) percepire su di sé del turbamento.

Tutti i personaggi di rilievo sono tanto magri da essere emaciati; Solomon, il protagonista, poi, è quasi evanescente. E sfumata è anche la sua identità - a metà fra un genere e l'altro. "Lo sai che hai le mani da femmina?", gli si dirà. Ed anche la sua voce - almeno del doppiaggio italiano - ha una sonorità particolarissima, fra il femminile e il maschile; ufficialmente la voce appartiene a una donna, eccezionale nell’avere azzeccato un timbro a tratti grattato e stridulo, e sempre spossato, come il fisico dell’attore a cui è associata.

Un altro aspetto è contenuto nei sintomi già evocati della A.D.D: la questione delle "parole in libertà", per usare un'espressione cara ad un' avanguardia flle del novecento come il futurismo.

Questa è esplorata fino alle più estreme conseguenze e declinata in un'altra direzione rispetto a quella seguita da Marinetti, e la definirei piuttosto "libero sfogo verbale": per tutto il film i personaggi hanno un atteggiamento brutale che si sfoga in atti fisici (come nella sequenza della lotta fra fratelli o della sedia), ma anche verbali. In questo "l'omicidio del coniglio" ne è l'apoteosi.

Il film vuole indagare gli effetti del mancamento di un ordine pregresso (simboleggiato dall'effetto del tornado). Il ritorno allo stato di natura in tempi moderni è molto più terribile di quello delle origini, di matrice animale, a causa della permanenza - nel ricordo e nelle cose del mondo - degli strumenti del mondo civilizzato che ora possono essere utilizzati altrimenti rispetto alla loro originaria funzione. Ritengo che il regista ci voglia suggerire che il naturale stato ferino dell'uomo associato ai mezzi prodotti dalla sua evoluzione porterebbe al "peggiore dei mondi possibili" dove solo chi si adegua al nuovo stile sopravvive - e fra le macerie di questo Gummo sembra infatti esserci spazio solo e soltanto per loro. Il vecchio mondo e i suoi valori ormai sopravvivono solo nella televisione, nei vecchi film e nei libri, per cui vediamo emulati certi stereotipi di genere cinematografici, o del mondo giovanile, per come ci sono presentati in alcuni programmi e, d’altro canto, sentiamo un riferimento alla Bibbia -che in certe regioni degli Stati Uniti d’America potrebber essere raffrontabile per valore personale con la stessa Costituzione, poiché ne amplia i valori trascritti e diviene vera custode della tradizione popolare del proprio stato.

L’ultima scena, che vede un affidamento totale a uno dei messaggi veicolati dalle Sacre scritture al quale un personaggio affetto da ritardo mentale si aggrappa per il solo fatto “che al suo interno è scritto così” cede subito il passo a un brano musicale black metal che richiama la degenerazione della spiritualità cristiana nelle pratiche sataniche, non per nulla più volte rievocate lungo tutta la pellicola, a partire dalla grafica del titolo.

A Xenia non ci sono che giovani. Privati di genitori e custodi degli antichi valori (ci sono mostrati soltanto due anziani: un depravato ed una morta) vivranno sregolati, d’istinto ferino. Il tornado ha rovesciato ogni cosa e tutto ciò che non si è perso, e si è poggiato a terra, è accatastato secondo un nuovo ordine. E la degenerazione della condizione giovanile deve essere un argomento caro al regista, ripensando al suo ultimo film, del 2013, Spring Breakers – Una vacanza da sballo. Perchè sforzarsi per trovare sempre un senso a quello che ci viene proposto? Innanzitutto, non a tutto: il cinema è pieno di produzioni dichiaratamente a-concettuali e, per così dire, soltanto esperenziali. Non è il caso di questa pellicola, poiché è eccessivamente contestualizzata, a cominciare da un’introduzione che desidera essere considerata. I nostri meccanismi inconsci riconoscono quando in un'opera vi è del senso celato ben prima che noi stessi riusciamo a tematizzarlo concettualmente e verbalmente. Bisognerebbe ascoltare la propria attrazione irriflessa per qualcosa per capire che vale la pena di rifletterci sopra e dare ragione di quel prolungato, e desiderato, contatto. Può essere così con i quadri nel periodo di più profonda astrazione di Kandinskij o le sinfonie disarmoniche di Schönberg, mentre altre opere sono tanto vuote e concettualmente e esteticamente da non sollevare altro che un moto di noia.

Un’esperienza come quella di affrontare “Gummo” mi fa pensare a una frase di Bertrand Russell, che in un suo stralcio dice: "Quando un uomo intelligente esprime un punto di vista che ci sembra evidentemente assurdo, non dobbiamo tentare di dimostrare che in qualche modo la cosa è vera, ma dovremo provare a capire come mai sia successo che a lui sia sembrata vera.". E di intelligenza questa importante figura del cinema indipendente statunitense ne ha molta, me lo ha suggerito il mio inconscio. Sebastiano Miotti

 
 
 

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