Intervista a Dutch Nazari
- Roberto Checchi
- May 26, 2017
- 4 min read

Giusto qualche settimana fa recensivamo il primo disco ufficiale di Dutch Nazari, Amore Povero. Ci ha interessato al punto da volerlo approfondire ancora e come farlo nel modo migliore se no scambiando due parole con Dutch stesso? Ecco quello che ne è venuto fuori.
Ciao Dutch, dopo aver recensito il tuo album su Indiependent Reviews mi sono venute in mente alcune domande. Ho visto che il 20 maggio hai suonato al Parco della Musica di Padova. Come l’hai presa? Che aspettative avevi riguardo al pubblico?
Il 20 maggio è stato pazzesco. Diciamo che non avevo aspettative ma solo speranze, e che sono state ampiamente superate.
Sempre parlando di live c’è qualche artista con cui vorresti dividere il palco? Vale tutto.
Bella domanda. Proprio in questo momento tra l’altro sta avvenendo il rocambolesco toto festival-estivi tra i vari booking e i promoters dei vari eventi, quindi chissà dopo che questa intervista sarà uscita cosa verremo a scoprire sul tema. Gli artisti che stimo e con cui mi piacerebbe condividere il palco sono ovviamente molti, facciamo che ti rispondo con due nomi: con il nome di un gigante sacro, e con il nome di un artista che sta emergendo proprio in questo periodo. Il primo è Samuele Bersani. Sono cresciuto ascoltando i suoi dischi, e suonare in apertura a un suo live per me sarebbe un grande onore. Il secondo è Gazzelle. L’ho visto suonare ad Aprile al Parco del Venda a Padova, e in quell’occasione ho potuto scoprire che in live ha un senso del palco e una presa sul pubblico pazzeschi, cose che per noi che veniamo dalla cultura hip-hop sono elementi molto importanti per giudicare un artista.
Passando all’aspetto sonoro ho notato qualche collegamento alla scena italiana. Ghemon, Mecna, Battiato e Dargen D’Amico. Mi sono perso qualcuno?
Tutti i nomi che hai fatto appartengono ad artisti che conosco bene, e che quindi fanno inevitabilmente parte delle mie influenze. Se, come io credo, per subire l’influenza musicale di un artista, è sufficiente ascoltare a fondo la sua musica, la lista di chi “ti sei perso” è potenzialmente infinita! Come puoi immaginare ascolto molta musica, diciamo che gli artisti che hai nominato sono esponenti dei due filoni musicali a cui più tendo a fare riferimento, e cioè la canzone d’autore italiana dagli settanta in poi, e il rap italiano.
Che artisti hanno influenzato la tua persona, e quindi il tuo modo di comporre?
C’è un artista, che io un po’ considero il mio mentore nel mondo della musica, che è Dargen D’amico. Prima ancora di conoscerlo, di iniziare a collaborare e di diventare amici, c’è stata una fase del mio percorso artistico in cui ero in una leggera “crisi di valori” diciamo. Siamo più o meno nel 2008, all’epoca ascoltavo quasi esclusivamente rap italiano, che in quegli anni era per grandissima parte caratterizzato da una forte aggressività di forma e contenuti, e da una grossa componente di auto-celebrazione. Ora, chi sa godersi una strofa rap fatta bene, sa tranquillamente e quasi istintivamente scindere tra il significato letterale della frase, e tutto quello che c’è dietro in termini di ricerca fonetica, figure retoriche, flow etc.
Quando però provavo a fare ascoltare la musica che mi piaceva ai miei amici al di fuori del giro del rap, l’obiezione che ricevevo sempre era “questo dice solo ‘sono il capo’, ‘sono un figo’, non mi piace!”. A me questo fatto pesava solo relativamente, in fondo ognuno ha i suoi gusti, ma in qualche modo questo tipo di obiezione mi si riproponeva nel momento in cui dovevo scrivere, e le rime auto-celebrative iniziavano sempre più a starmi sempre più strette. Non le sentivo mie, non mi convincevano.
In quel periodo è uscito il disco Di Vizi Di Forma Virtù di Dargen D’amico. E quel disco è stata proprio la risposta perfetta ai miei dubbi, perché mi ha dimostrato come si potesse fare un rap tecnicamente e stilisticamente impeccabile e super innovativo, ma con dei contenuti estremamente personali e originali.
Come hai iniziato la tua carriera da musicista? Raccontaci un po’ la tua storia.
Dopo un paio di anni, dopo che avevo già fatto un paio di dischi di gruppo e un ep solista, quando avevo da poco iniziato a collaborare con Sick et Simpliciter alle produzioni, ho pensato di avere del materiale adatto e ho preso contatti con Dargen per farglielo sentire. Lui è un tipo molto istintivo, Si / No, Bello / Brutto: Ha sentito un solo pezzo, si è entusiasmato e mi ha chiesto di mandargli altro materiale perché mi voleva produrre. Da lì è nato Diecimila Lire ep.
Si può vivere solo di musica?
Lo scopriremo solo vivendo (cit.)
[…comunque adesso ho un po’ paura dato che questa avventura sta diventando una storia vera…]
Hai un momento preciso in cui scrivi? Com’è il processo creativo-stilistico?
Ci sono vari modi. In particolare, se si tratta di un brano che parla di una cosa precisa, è un processo di accumulazione di idee che può durare mesi/anni. Poi a un certo punto scatta qualcosa, e scrivo giù tutto di getto. Se invece si tratta di un brano che nasce in prima battuta come solo strumentale, è più un fatto sinestetico, ascolto la musica e mi lascio ispirare. Per i featuring nei brani altrui è un altra cosa ancora, sento cosa ha fatto chi canta prima o dopo di me, e cerco di fare una cosa che ci stia bene assieme.
Hai qualche progetto in ballo? Ora immagino continuerai a portare in giro il tuo album.
Sì, io e Sick et Simpliciter saremo in tour per tutta l’estate. Nel frattempo stiamo lavorando al suo primo progetto solista, che ci vedrà come sempre lavorare in coppia, ma in cui l’importanza data alla componente strumentale rispetto a quella autorale sarà molto maggiore.
Ci saluti con un pezzo che ascolti spesso in questo periodo? A presto!
Stacco un’aletta dal pacchetto delle Lucky Strike
lei cicca dentro la lattina di una Coca Light
non so che scrive le mando un messaggio con gli smile
metti domani tornerai se, hai visto mai Alessandro Spagnolo
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