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LED: in 10 artisti vi raccontiamo chi siamo

  • Roberto Checchi
  • Aug 4, 2017
  • 3 min read

Torna la nostra rubrica leggermente dilazionata nelle tempistiche per via della calura estiva. Questa volta i protagonisti sono i pavesi LED, ovvero Max Tordini e Marco Mangone. I ragazzi hanno deciso di dividersi 5 artisti a testa, andiamo a scoprire le loro influenze. Max:

Ben Howard – Adoro le sonorità e la profondità vocale di questo artista inglese, non manca nella mia Playlist di spotify quando cammino per strada o sono in macchina.

Oats in the Water - pezzo tratto da The Burgh Island EP, mandata il loop fino a notte fonda, consumato anche il vinile Every Kingdom del 2011

Editors – Gruppo che amo da The black room, sempre innovativi mai banali, li amo musicalmente, meraviglioso il cambiamento di In Dream e stilisticamente parlando per me sono un gruppo di riferimento

Nothing – pezzo tratto da The Weight of your love,se mai esiste una parte romantica del mio carattere è forse rappresentabile da questa canzone.

Edda – Questo è un artista incredibile che ho la fortuna di conoscere personalmente,credo che sia il più grande talento della musica Italiana e se qualcuno ancora non lo conosce si sta perdendo un qualcosa di unico.

Sempre Biot in questo caso cito il disco intero perché adoro ogni singola traccia ,capolavoro, se proprio devo scegliere la mia hit Io e Te per l’intensità del testo, brividi e pelle d’oca.

Depeche Mode – Come una nave fantasma di corsari continuano a navigare gli oceani del suono sintetico, gli unici mostri sacri che voglio citare, sempre verdi, sempre attuali

I feel love, credo che chi è nato negli anni 70 o giu’ di li si sia trovato almeno una volta in qualche discoteca a ballare questo pezzo, stesso passo, stessi movimenti, per ore e ore.

Nirvana – Santo cielo, qui parliamo di cose serie, una band che ha portato un’onda d’urto musicale che ha travolto una generazione compreso il sottoscritto che ha vissuto in pieno nell’età adolescenziale gli anni novanta, lo considero un genio, paragonabile ai più grandi compositori, racconto sempre il giorno che io e il mio migliore amico abbiamo deciso a Roma di non comprare il biglietto tanto sarebbero tornati…

School quasi un pezzo stoner, una molotov tirata in faccia, con tutta la rabbia di una generazione che non aveva il cazzo di smartphone in mano, che i concerti li faceva sui palchi e non in cameretta davanti alla webcam, che adorava qualsiasi forma di musica perché voleva dire stare insieme e divertirsi.

Marco:

The Doors – fanno parte della mia adolescenza, mi hanno accompagnato nelle prime notti “euforiche“, la smania di ribellione e poesia era il fulcro della loro musica.

Non ho mai apprezzato la strumentalità del gruppo ma ero affascinato dalla ritualità incalzante della loro musica e della voce di Jim.

The End, brano tratto dal loro primo disco The Doors per la cura scenica del pezzo, la poesia, la teatralità e la violenza musicale che all’epoca non aveva eguali

The Cure - la follia claustrofobica, la semplicità la tristezza tutto racchiuso in una chitarra ed una voce, stupendi.

The Forest, in questo brano fu la prima volta dove riuscii a comprendere “lo sguardo nel buio“ dei Cure

Nirvana - sempre e comunque il mio gruppo preferito. Cambiarono il mio modo di vivere, di pensare e di suonare, non per l’idea di musica maledetta ma perché loro più di tutti riuscirono a farmi capire come mettere in musica le sensazioni che provo nel tentativo di esorcizzare il dolore

Qui non riesco a trovare un brano e nemmeno un disco, sarebbe troppo riduttivo: Nevermind e subito dopo In Utero

Afterhours - la musica, i testi la violenza scenica la dolcezza insieme in una miscela che per me in Italia non ha avuto eguali. Ricordo il primo concerto al Palatrussardi a Milano nel 1997, rimasi scioccato.

Il Sangue di Giuda, dopo averla sentita mi tornarono in mente gli anni di ascolto dei Cure, finalmente un gruppo concittadino era riuscito a generare in me le stesse sensazioni

Dredg - voce raffinata, chitarra con suoni molto riconoscibili e sezione ritmica basso/batteria che mi lasciarono a bocca aperta al primo ascolto.

Ode to the Sun, Bug eyes, dimostrano quanto la semplicità, un palco vuoto di scenografia passino in secondo piano rispetto alla bravura e originalità di una band dal vivo.

 
 
 

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