top of page
Search

Blade Runner 2049

  • Roberto Checchi
  • Oct 30, 2017
  • 4 min read

Blade Runner è un film che è stato capace di influenzare l’estetica del cinema fantascientifico contemporaneo, innestandosi nella memoria delle generazioni pre-millenials come un oggetto di culto, citato e richiamato numerose volte. Dirigere un sequel di un’opera del genere vuol dire non soltanto espanderne storia e i contenuti, ma instaurare un dialogo tra le due pellicole, un confronto inevitabile tra il lavoro di due registi. Denis Villeneuve, autore non nuovo al genere della fantascienza impegnata, riesce a raccogliere l’eredità di Scott, rispettandola ma rielaborandola, inserendovi nuovi ed interessanti spunti di riflessione, come quelli legati alla presenza di intelligenze virtuali.

Blade runner 2049 riprende la storia del primo film trenta anni dopo dove l’avevamo lasciata. In un mondo distrutto dall'inquinamento e dal clima inospitale, i disobbedienti replicanti nexus 8 sono stati sostituiti da una generazione più fedele, programmata per l’obbedienza. K (Ryan Gosling) è uno di questi nuovi modelli, un blade runner, un poliziotto incaricato di “ritirare” i vecchi modelli ancora latitanti. Durante quella che sembra una normale caccia, si imbatte però in un segreto che se portato alla luce potrebbe rivoluzionare il modo in cui essi sono concepiti dalla società, distruggendo lo status quo.

I claustrofobici ambienti cittadini del primo film lasciano il posto ad ampi spazi vuoti, epici deserti che tanto devono a film come Mad Max, spazi dove i personaggi si perdono, e la fotografia di Roger Deakins può esprimersi al meglio. Anche nelle scene girate in interni il direttore della fotografia riesce a giocare con la luce,creando dei giochi di ombre squisitamente espressionisti. Con ogni probabilità una fotografia del genere porterà Deakins alla quattordicesima nomination per gli oscar (e forse alla prima vittoria).

Entrambi i film muovono da un quesito filosofico fondamentale, cosa fa di noi degli esseri umani? Una domanda ricorrente nel cinema fantascientifico della postmodernità, oltre al capostipite della saga basti citare film come I.A.- Inteligenza artificiale di Spielberg o L’uomo bicentenario di Chris Columbus; tema tornato molto attuale grazie ad alcune produzioni televisive di alto livello come Westworld e Black Mirror. L’uomo contemporaneo, circondato da una tecnologia soffocante che ha tanto migliorato la sua vita quanto anestetizzato la sua capacità di empatizzare con i suoi simili, ha perso ogni certezza, compresa quella fondamentale sulla sua umanità. Per ritrovare questa umanità dobbiamo andarla a cercare in ciò che è altro da noi e trovando quell'elemento capace di rende umani i replicanti, noi riusciamo a ricordare ciò che ci rende tali. Per Ridley Scott questo elemento era la capacità di provare emozioni complesse come l’amore, tema che torna anche in quest’ultima pellicola, in cui uno dei personaggi più emotivamente coinvolto e capace di forti emozioni è l’intelligenza artificiale Joi (Ana de Armas) che addirittura non possiede un corpo. Ma Villeneuve trova anche un’altra soluzione al quesito (due se consideriamo la mera capacità di riproduzione): la nostra identità è indissolubile dalle nostre esperienze, sono i nostri ricordi a renderci le persone che siamo. Nei replicanti vengono impiantate false memorie per ottenere delle reazioni agli stimoli simili alle nostre, ma soltanto una vera esperienza umana può liberarli dalle catene della programmazione, sia essa un’esperienza vissuta direttamente (come l’assistere ad una nascita) o indirettamente (come l’impianto di un vero ricordo, anche se vissuto da altri). L’umanità (intesa come specie) di Blade Runner – 2049 è egoista, non curante dell’ambiente in cui vive, capace di schiavizzare altri esseri senzienti solo per soddisfare i propri bisogni. Memore del primo film, le uniche persone che ci vengono mostrate e di cui abbiamo la certezza non essere dei replicanti sono fisicamente imperfette come Niander Wallace di Jared Leto, o moralmente deprecabili come lo schiavista dell’orfanotrofio o il tenente Joshi, che non si fa scrupoli di ordinare l’uccisione di un’altra persona dove invece il replicante dimostra dei dubbi. Nel finale Dekard (Harrison Ford) riesce a ritrovare la figlia (e la sua umanità) grazie al replicante K. Fantascienza noir ma anche western, il personaggio di Ryan Gosling condivide un destino simile a quello di un altro noto personaggio della storia del cinema americano, Ethan Edwards. Come il personaggio interpretato da John Wayne nell’indimenticabile Sentieri selvaggi, il replicante parte alla ricerca di una ragazza, presumibilmente in mano ai nemici che ha sempre combattuto (indiani o nexus 8) ed entrambi condividono un epilogo simile. Pur completando la loro missione e restituendo la ragazza ai suoi famigliari, sono esclusi dall’idillio che si viene a creare; sia K che Ethan sono personaggi legati al vecchio mondo e non possono fare altro che fermarsi sulla soglia a guardare quel nuovo mondo che non gli appartiene.

Purtroppo il film soffre di quello che è (a mio avviso) uno dei mali del cinema Hollywoodiano contemporaneo, l’eccesso di risposte. Non scade mai nell’ingenuo e certamente non è così banale come molti altri blockbuster, ma gli manca qualcosa che il primo film aveva in abbondanza: il mistero. Fin da subito sappiamo che il blade runner è un replicante, scopriamo cosa ne è stato di Dekard dopo il primo film e il finale è molto più chiuso rispetto al precedente. Emblematico in questo senso il personaggio di Jared Leto, l’insipido cattivone che sembrerebbe trovarsi nella storia più per sciorinare lunghe spiegazioni su quali sono i suoi piani, piuttosto che per ostacolare i protagonisti.

Con dei temi così interessanti e uno sviluppo della natura replicante così inaspettato forse sarebbe stato meglio fornire meno spiegazioni, seminare dei dubbi. È lasciando gli spettatori liberi di interpretare e proseguire il racconto che si gettano le basi di un culto, è per questo motivo che ancora oggi tanti fan si sprecano in animate teorie per cercare di spiegare uno dei misteri fondanti della saga, quello delle origini di Dekard, mistero che sapientemente Villeneuve non va a rivelare. Gianluca Tana

 
 
 

Comments


Follow Us
Post Collegati
Post Recenti

© 2014 by Indiependent Reviews. 

 

bottom of page