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Ropsten - Eerie

  • Roberto Checchi
  • Jun 3, 2018
  • 2 min read

Una serie di EP e uscite sotterranee, anche internazionali, alcune aperture importanti, tra cui Blonde Redhead e God Is An Astronaut ed infine il primo album, un debutto che arriva con la giusta maturità. La materia non è delle più facili, musica rigorosamente strumentale, con una forte componente ritmica e groovy, chiari riferimenti al Krautrock, Neu! e Can su tutti ma anche elementi personali ed originali.

Ci sono molti ingredienti nella iniziale Y.L.L.A., campionamenti, synth analogici, nastri reverse, chitarre e fuzz, distorsioni. C'è l'istinto di una jam band e allo stesso tempo il controllo e la consapevolezza di chi cura ogni minimo dettaglio, importantissimo quando la tua musica è costruita su un continuo ipnotico. L'immaginario dei Ropsten è volutamente retrò, con tv a tubo catodico in copertina e riferimento ai primi videogame nel titolo di un brano, Grandma's Computer Games, dalle atmosfere sixties e lisergiche. Un basso alla Bauhaus introduce invece Globophobia che mette in luce le ottime doti del batterista basso e di tutta la band, da Leonardo Facchin, basso e synth a Simone Puppato, chitarre e tastiere, e Claudio Torresan, tastiere, chitarre e rumori. Difficile scoprire cosa faccia ogni singolo strumentista al di la della sezione ritmica, quello che è certo che è efficace, ed è uno dei pochi casi in cui l'aggettivo “cinematografico”, spesso usato a sproposito per molte band strumentali, non suona fuori luogo. Basta ascoltare un brano come Batesville, e scordarsi per un attimo di quello che si sta facendo, e la mente corre subito a possibili film; il nome dei Calibro 35 potrebbe essere quello più immediato come paragone, e in questo caso i riferimenti sono più gli AIR o gli Stereolab che non le colonne sonore dei B-movie degli anni '70.

 
 
 

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