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Fenomenologia dell'All You Can Eat

  • Roberto Checchi
  • Aug 29, 2015
  • 4 min read

Negli ultimi tempi la fama e l'abuso dei ristoranti giapponesi è cresciuta esponenzialmente fino a diventare una vera e propria dipendenza di massa. Io stessa che non comprendo praticamente mai carne e pesce nella mia alimentazione, con una certa frequenza inizio a sentire una voglia incontenibile di sushi da fare invidia a una donna incinta al sesto mese.

Ovviamente, la cucina giapponese ha dei prezzi proibitivi per quella fetta della popolazione che mi comprende (quella dell'universitario che di media ha 35 euro a settimana) e per ovviare a questo problema è stata introdotta nella maggior parte dei ristoranti la formula All You Can Eat, che permette di mangiare all'infinito ad un prezzo basso e di farci egemonizzare il seguito della giornata in base al pasto: se è il pranzo ci si annulla per tutto il pomeriggio davanti alla tele, se è la cena ogni progetto di passare la serata a rovinarsi è il caso di accantonarlo.

PRELIMINARI

Solitamente al giapponese ci si va a pranzo in branco (perchè figa ragazzi costa la metà che a cena) e la sera per lo più in appuntamenti galanti (perchè figa costa il doppio che a pranzo, così vede che me ne sbatto dei soldi). Ecco che nel primo caso partono gruppi WhatsApp entusiasti, una delle poche occasioni per sfruttare i simbolini del sushi che abbiamo a disposizione, che finiscono nelle ore prima col vantarsi del proprio digiuno personale prima dell'imminente pranzo, sacrificio irrinunciabile per godersi al meglio l'esperienza.

ATTO I

Finalmente si arriva all'ora di pranzo e tu stai morendo dentro per il desiderio, ovviamente ci sono le persone che arrivano in ritardo e tu incredulo per un simile gesto sei combattuto fra l'educazione di aspettare tutti gli amici o il bisogno primario di nutrirti. Alla fine opti per il compromesso di entrare e sistemarti molto lentamente a tavola per ingannare il tempo.

All'ingresso ti attende una giapponese di statura medio bassa e con un sorriso invitante che ti fa sognare più di quello della mamma da piccolo quando ti diceva che la cioccolata era pronta; con questi pensieri nostalgici riempi di salsa di soia la ciotolina e cominci a guardare il Menu.

In alcuni casi avrai fin da subito la possibilità di scoprire che la storia di imitare i cinesi dicendo L al posto di R non è una leggenda metropolitana: una delle cose migliori che ho letto è stato “lavioli di calne”. Ma avrai l'imbarazzo della scelta fra infinite tipologie di Uramaki, Nighiri, Temaki e altri rotolini di ogni sorta, oltre ai vari piatti caldi irrinunciabili e i vari Ramen.

Si stabilisce la tecnica d'attacco, se una cosa per volta o ordinare tutto assieme “poi casomai vediamo”. Di solito è la seconda a vincere, anche solo per godere dello splendido panorama dei piatti pieni di cibo accumularsi davanti al tuo posto.

ATTO II

Pian piano che il pasto va consumandosi, dall'eccitazione dovuta all'arrivo del primo piatto e la gioia del poter dire “mio” ad ogni arrivo del cameriere si cominciano a provare sentimenti contrastanti. Quando al quindicesimo sake maki si comincia ad accusare qualche pesantezza allo stomaco ce la si prende con se stessi, “non è possibile non mangio dall'altro ieri”, “di solito con una fame così mangio quattro ore di fila” e si cerca di stemperare la cosa con una sigaretta o con ingenti quantità d'acqua (una bottiglia in media tre euro, i giapponesi sanno quello che fanno) per illuderti di ripulirti l'intestino.

Questa tattica però ha una funzione del tutto illusoria; magari troverete posto per ancora un paio di Nighiri, ma il vostro stomaco si chiuderà ermeticamente da un momento all'altro.

Tutto ciò accade sempre troppo presto e in segreto si comincia a sperare invano che in cucina alcuni ordini siano stati dimenticati nella quantità di piatti ordinati: ben presto imparerai a convivere con la cosapevolezza che i camerieri dei ristoranti giapponesi sono una via di mezzo fra l'essere umano e il computer. E' in quel momento che va tirata fuori la nobile arte dell'occultare gli avanzi dell'All You Can Eat.

Fazzoletti, sacchettini pescati dalla borsa, tutto è utile a questo scopo. C'è chi in assenza di altro si riempie le tasche (qualcuno anche la bocca) e le svuota in bagno. Ho visto persone nascondere Nighiri nei vasi delle piante del ristorante. L'importante è uscire indenni in modi più o meno leciti dall'esperienza senza dover pagare il temuto prezzo aggiuntivo per ciò che non si è consumato.

EPILOGO

Generalmente, anche se si avanza qualcosa, i camerieri giapponesi inteneriti dalla nostra difficoltà si limitano a guardarti con aria di rimprovero senza però aumentarti il conto.

Saranno i sensi di colpa e la pesantezza fino a sera il prezzo più alto da pagare. Il post-sushi però è come una storia d'amore finita male, si promette a se stessi che la prossima volta non si faranno gli stessi errori di valutazione e ci si godrà meglio il mentre, ma ogni volta sarà uguale.

 
 
 

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